Addentrarsi nella rigogliosa discografia degli Stereolab è l’esperienza più vicina a una versione musicale del multiverso. Ogni disco, per non dire ogni brano, è un salto spazio-temporale alternativo e rivelatore attraverso le possibili versioni di quella che potremmo definire la cult band perfetta. Dal 1990 al 2009 Tim Gane, Laetitia Sadier e soci hanno trasformato in pop music evoluta praticamente qualsiasi cosa, unendo krautrock e poesia francese, lounge music e pensiero sociale, elettronica e surrealismo, musica brasiliana e situazionismo, e tantissime altre avanguardie musicali e concettuali.

Arte, letteratura, filosofia e gran parte delle musiche del mondo sono confluite in un manifesto post-moderno in continua evoluzione. Il tutto sempre con un’allure positiva e giocosa. Col senno di poi, gli Stereolab sono stati una delle band fondamentali degli anni novanta: abilissimi manipolatori dei passati musicali ai quali attingono, molto meglio e molto prima dell’ondata retrò che sta caratterizzando in lungo e in largo il nuovo millennio.

Insomma, una volta scoperti è impossibile non innamorarsene o perlomeno non rimanerne affascinati. Tornati in pista nel 2019 dopo dieci anni di pausa, hanno da poco pubblicato il quinto capitolo della serie “Switched On”, raccolte che provano a mettere ordine nella loro intricata e lussureggiante discografia, piena di singoli e collaborazioni. Dal vivo mancano dalle nostre parti da oltre venti anni: l’ultima volta a Roma fu il 21 settembre 2001 a Enzimi, con “Sound-Dust” fresco di stampa e la talentuosa quanto sfortunata Mary Hansen ancora in formazione e tra di noi. Non avendoli ancora rivisti post reunion, personalmente sarei andato fino a Orione per assistere a un loro live, figuriamoci se sarà un problema raggiungere l’Orion di Ciampino.