Nel mare di Barents, al Polo Nord, sulle barriere coralline, tra fiumi, laghi, foreste e vulcani di quattro continenti. Jana Winderen ha scelto luoghi e modalità strane per attraversare il mondo, e lo ha fatto con l’intenzione di prenderci per un orecchio e portarci con sé. Ma non ci sarebbe riuscita se non avesse trovato una nave sicura con cui salpare sugli oceani del suono, una nave che galleggia da quarant’anni, varata con il nome di Touch. Fondato a Londra nel 1982 da Jon Wozencroft e Mike Harding come un progetto assai più ampio di una semplice etichetta, Touch ha portato avanti un’esplorazione del suono dal suo concepimento (che fosse creato o semplicemente raccolto), facendolo crescere in diverse direzioni e infine diffondendolo al mondo tramite il suo braccio più vigoroso, quello sì rappresentato dall’etichetta. Se la musica ambient è riuscita ad affrancarsi, già prima del passaggio del millennio, dall’immediata associazione a cd paccottiglia con copertine sgranate contenenti registrazioni di scadente qualità di “suoni della natura” e droni dai toni pastello, il merito va anche alla Touch, va soprattutto alla Touch. Un merito talmente enorme che basterebbe citare anche solo Jana Winderen (culmine della serata di Inner Spaces che prevede anche Jacaszek, Geneva Skeen, Ozmotic e Claire M Singer), il cui lavoro, a ben vedere, non consiste in altro che in “suoni della natura”. Solo che la natura è quella genuina, violenta e rumorosa, immersiva e rarefatta, e la sua musica non ci racconta una pace da cartone animato ma un disequilibrio perenne, che giorno dopo giorno ci accompagna a catastrofi ed estinzioni. Quella umana è in programma a breve, e grazie alla Touch abbiamo le idee più chiare su come suonerà.