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Cinema Godard - Fondazione Prada
Largo Isarco 2, 20139 Milano

Quando

venerdì 08 marzo 2024
H 20:30

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€ 6/4

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Ci siamo immaginate di chiedere a dei passanti sconosciuti di citare un film sulle culture arabe, ponendoci di fronte a plausibili scenari differenti: un assordante silenzio, giovanə appartenenti a comunità diasporiche potrebbero citare Mo – serie tv del comico palestinese Mohammed Amer – mentre ai più potrebbe venire in mente Il Dittatore. Quest’ultima risposta – dalla prospettiva di due donne afrodiscendenti – potremmo considerarla scivolosa, visto il regista statunitense, l’attore protagonista britannico e il film pieno di stereotipi arabofobi.

Non è scontato vedere al cinema pellicole che raccontino le complesse sfaccettature delle comunità arabe. Satine Film contribuisce a colmare questo vuoto, portando nelle sale italiane Inshallah A Boy, film diretto dal regista giordano Amjad Al Rasheed, che narra la storia di Nawal (interpretata da Mouna Hawa, attrice palestinese di Haifa) giovane donna, madre di Nora, che improvvisamente si trova vedova.

Avviato il film, le immagini ci hanno catapultate a ricordi personali condivisi, suscitando un’immediata emozione nel vedere luoghi che ci ricordavano un viaggio fatto assieme in Marocco. In particolare, la scena che riprende il quartiere ci ha fatto strabuzzare gli occhi e, con un tono dolcemente malinconico, abbiamo esclamato: “Sembra Casablanca!”; rivivendo  così le nostre passeggiate tra le case bianche e gli appezzamenti di terra che si affacciano sulle strade brulicanti di frenetiche auto. 

La seconda immagine la troviamo sempre all’inizio del lungometraggio: il momento di partecipazione e supporto femminile del lutto accomuna la cultura giordana alle nostre culture marocchine ed eritree. Il dolore condiviso, le preghiere collettive, la cura e il rispetto dei tempi di elaborazione del lutto ci hanno riportate, in modo diverso, a lutti vissuti in passato. Al recente lutto di Nawal, però, scopriamo che non è destinato alcun rispetto e respiro. La protagonista, infatti, si trova ad affrontare le insidie legate alle leggi sull’eredità, basate sulla Sharia: non avendo un figlio maschio dovrà interfacciarsi con le pretese del cognato, che, anteponendo i suoi interessi economici, trascurerà le fragilità di Nawal per provare ad acquisire il prima possibile le parti della casa che sarebbero spettate a lui e alla sorella. Grazie alle conoscenze culturali del regista si può comprendere come l’eredità non sia trasmessa solo ed esclusivamente alle figure maschili, bensì a tutti i familiari vicini alla persona defunta. In un clima di tensione, emerge, però, come la presenza di un figlio maschio possa tutelare le proprietà del nucleo familiare.


Di fronte a questo scenario caotico e agli ostacoli incontrati, seguiamo Nawal che, per tutelare sua figlia e il frutto del suo stesso lavoro, mette in atto diversi stratagemmi, tenendoci costantemente con il fiato sospeso. Le doti interpretative di Mouna Hawa ci fanno vivere insieme alla protagonista quella forte sensazione di disperata speranza; così, il titolo diventa il filo conduttore del film, “Inshallah”  (Se Dio vuole), cogliendone la profondità del significato. Dalle nostre prospettive riconosciamo che le complessità emergono attraverso tutte le figure femminili vicine alla protagonista. Grazie alle diverse generazioni, status sociali e credi religiosi – nonché approcci differenti alla fede – ci è stato facile riconoscere le difficoltà femminili, nonostante l’evidente distanza geografica e la presunta distanza socio-culturale con l’occidente in cui viviamo. Così come è stato possibile identificare, sebbene senza un linguaggio esplicito, pratiche di sorellanza e di cura in una società patriarcale. 

Conclusa la visione del film, è nato un confronto spontaneo su aspetti evidenziati da Al Rasheed, che risultano ovvi per chi è familiare con la cultura araba, soprattutto musulmana, ma possono apparire rivoluzionari per chi è abituato alle occidentali narrazioni stereotipanti. Considerato che l’indipendenza economica di una donna non è scontata in nessuna parte del mondo, l’intraprendenza di Nawal ha fatto sì che ci sentissimo a lei vicine. Dato che la precarietà economica limita anche le nostre possibilità e il nostro accesso a beni di base (come la casa). Nel nostro contesto non è una legge scritta, ma un insieme di non detti e consuetudini che si insidiano in ogni luogo e che, come per Nawal, tentano di tarparci le ali.

La proiezione del film Inshallah A Boy è seguita da una conversazione tra il regista Amjad Al Rasheed, l’attrice Mouna Hawa, Paolo Moretti e Alessandra Speciale, direttrice artistica di FESCAAAL Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina.

Scritto da Ariam Tekle e Ariman Scriba