Ogni volta che si pensa a una rappresentazione iconica, cruda e senza compromessi delle ossessioni umane nel mondo della musica elettronica degli ultimi 15 anni, è inevitabile che il beat di I Fink U Freeky e le immagini grottesche e catatoniche del videoclip di Roger Ballen risuonino nelle nostre orecchie, insieme alle cornee nere di Yolandi sulla copertina di Ten$ion. Le sonorità hip hop e afrobeat, pop e avanguardistiche allo stesso tempo, unite all’estetica eccentrica che incarnano le loro personalità, hanno riattualizzato e glamourizzato il concetto di “sottocultura” Zef. Nata inizialmente in Sudafrica negli anni ’70 come termine per identificare la working class bianca, e successivamente come un retaggio di povertà manifestata in una sorta di coolness kitsch, la cultura Zef è stata reinterpretata dai Die Antwoord con una chiara critica al modello culturale ed estetico eurocentrico, costantemente parodiato nei loro videoclip.
Quando il duo di Cape Town pubblicò il suo primo album nel 2012, l’afrobeat era ancora una sperimentazione di amalgamazione tra ritmi tribali ed elettronica anni zero. Se oggi i suoni e i sottogeneri di derivazione africana legati all’elettronica sono una presenza sempre più forte nelle produzioni internazionali e molte label del continente stanno conquistando i main stages dei festival musicali europea di ricerca, all’epoca di Ten$ion (2012) la proposta sonora e i beat di DJ Hi-Tek, rappresentavano una novità nel panorama musicale.
Ma come spesso accade con fenomeni così riusciti nell’intersezione difficile da delineare tra pop e avanguardia, il successo è spesso il risultato di un grande carisma identitario unito a un forte riconoscimento da parte dell’ambiente circostante. La stessa cosa è successa con Ninja e Yolandi, professionisti della follia espressiva, catturati dalla lente di Roger Ballen nel rappresentare il gore umano e, successivamente, dalle visioni cinematografiche di Harmony Korine (Umshini Wam, 2011) e Neill Blomkamp (Chappie, 2015): sposalizi estetici e narrativi hanno corroborato l’immaginario del duo sempre più impiantato nei cervelli dei post adolescenti occidentali. L’estetica e i messaggi veicolati dal progetto, irriverenti e d’impatto, con una componente visiva pop e respingente allo stesso tempo, hanno reso Die Antwoord un caso mediatico con tutto ciò che questo comporta: storie controverse, gossip di vario tipo e manipolazioni che hanno portato il duo verso una fase discendente in termini di popolarità, insieme all’inevitabile effetto cometa che spesso queste tipologie di fenomeni portano con sé.
L’aspetto meno spettacolarizzato ma quello di un’umanità totalmente relatable, fatta di gelosie, disillusioni e poi sliding doors che cambiano la vita.
Il documentario di Jon Day, ZEF, è un accostamento di riprese dei concerti più iconici di Ninja e Yolandi, home movies che mostrano il lato più intimo del loro rapporto emotivo e con la famiglia (come il parto di Yolandi che non lascia niente all’immaginazione) e il racconto dei Die Antwoord di oggi che parlano dei Die Antwoord di ieri e (forse) di quelli di domani. Spogliandosi sentimentalmente davanti alla telecamera e l’uno di fronte all’altro, quello che emerge è l’aspetto meno spettacolarizzato ma quello di un’umanità totalmente relatable, fatta di gelosie, disillusioni e poi sliding doors che cambiano la vita, e la complessità dei rapporti di coppia e di genitorialità in un contesto di fama esplosivo.
Difficile quindi quantificare oggi, in cui anche il rapporto tra pop e sperimentazione è cambiato e il coraggio assume delle altre forme nei progetti musicali destinati a una larga audience, con una serie di dinamiche di target e ecosistemi virtuali in costante cambiamento, l’impatto che un progetto come Die Antwoord ha avuto nel panorama musicale e visivo: probabilmente il loro stile freaky e grottesco si riflette in progetti successivi come quello di Tommy Cash prima della sua transizione all’hardstyle (vedi Pussy Money Weed), forse nell’utilizzo di determinati suoni di derivazione continentali che il nostro orecchio è sempre più abituato a sentire. Ascoltando il loro ultimo disco, House of Zef (2020), la qualità della sperimentazione sonora continua a essere alta, la loro street cred non invecchia con l’età, ma qualcosa in termini di ricezione è cambiato: forse è l’inevitabile decorso culturale che porta a stancarsi di tutto ciò che si è già consumato.
Imperdibile quindi la proiezione di ZEF – THE STORY OF DIE ANTWOORD del 20 settembre alle ore 20.30 al Cinema Godard, per mettere insieme i pezzi di questa affascinante storia e trovare il proprio sguardo. Con un presentazione a cura di Alessandro Stellino, critico e direttore del Festival dei Popoli di Firenze.
Scritto da Carlotta Magistris