La notte è una dimensione temporale o una condizione esistenziale tra le più sviscerate, amate o patite dagli artisti dalla notte dei tempi, per l’appunto, fino ai giorni nostri. Ogni stagione si aggiungono nuovi adepti, ma sempre più di rado ne scaturiscono lavori degni di nota, tantomeno dei nuovi manifesti artistici. “Night Reign” (2024), l’ultimo disco della cantante e compositrice pakistana Arooj Aftab, è esattamente questo: una raccolta di confessioni in musica sul lato oscuro della vita e dei sentimenti.

L’incredibile vocalità della Aftab, una sorta di novella Sade, alternando urdu e inglese, è solo la punta di diamante di un album ipnotico e seducente come pochi. Un flusso continuo di suoni e parole, alcune originali altre prese in prestito, una marea che ci sfiora per poi avvolgerci nel profondo, come dimostra visivamente lo splendido scatto in bianco e nero scelto per la copertina.

Con il precedente “Vulture Prince” (2021) aveva prima sorpreso e poi conquistato tutti in America, da Pitchfork a Obama fino ai Grammy. Con “Love in Exyle” (2023), firmato insieme al pianista Vijay Iyer e al polistrumentista Shahzad Ismaily, è entrata dalla porta principale nel ghota del jazz contemporaneo e nei cuori del suo difficile pubblico, esigente e diffidente per natura. Ora con “Night Reign” e con il suo debutto live romano la Aftab è pronta a prendersi anche la Città Eterna, senza sparatorie o frasi a effetto, ma con l’ancestrale bellezza della sua musica.