Il nuovo spettacolo di Emma Dante – di cui cura testo, regia, elementi scenici e costumi – ha i tratti di una tragedia fin troppo contemporanea. Un femminicidio che ogni giorno si ripete perché, in qualche modo, non viene creduto.
La regista, che da sempre denuncia e urla la violenza, narra storie di personaggi ai margini e che qui diventano protagoniste e protagonisti. E oggi sempre di più abbiamo bisogno di riempirci le orecchie e l’anima delle storie rimaste troppo a lungo taciute. C’è un filo rosso nelle arti che potrebbe connettere la scrittura di Han Kang in La vegetariana al teatro di Milo Rau o a quello di Amir Reza Koohestani, fino ai versi di Mariangela Gualtieri o ai film di Pedro Almodovar, la scena artistica contemporanea sembra sempre più abitata da chi dà forma all’assenza, parola al dolore, visibilità agli invisibili. Anche Emma Dante, con L’angelo del focolare – così come con i suoi lavori precedenti – si inserisce in questa linea, scegliendo di raccontare le “vite laterali”, quelle ai bordi della Storia, che l’arte – se non piegata al mercato del mainstream – continua ostinatamente a riportare alla luce. E allora, cosa rivela di noi, oggi, questo bisogno di raccontare “gli ultimi”? Forse la necessità di scardinare l’idea di eroe come figura dominante, per restituire centralità a chi resta nel perimetro. Ne L’angelo del focolare, una luce si riaccende: quella della resistenza silenziosa di chi appare senza forza, come una fenice che dalle ceneri può rinascere.
Scritto da Francesca Rigato