Vorrei parlarvi di questa manifestazione attraverso una mostra di qualche tempo fa. Lo faccio perché penso quello che accomuna entrambe non sia una casualità, ma piuttosto un punto di vista e di partenza: mi paiono il sintomo che qualcosa si stia muovendo anche da noi, anche nella provinciale Roma, anche nelle istituzioni pubbliche che (troppo) spesso si limitano ad acquistare mostre monografiche confezionate altrove senza impiegare (con più che una firma a fine catalogo) i curatori pure bravi che abbiamo. Ebbene, a ottobre Palazzo Altemps ha ospitato La forza delle rovine, mostra molto ben curata e allestita che metteva insieme tante e diversissime opere (sia per provenienza, sia per genere, sia per storia degli artisti) per esprimere un concetto sul quale mi pare si rifletta poco: ogni nostra visione è parziale. Anche quelle che penseremmo più universali e condivise. Il pretesto per portarci alla conclusione era questo: le rovine non sono sempre state un bene da preservare, il loro culto ha attraversato fasi alterne, risultando di volta in volta come espressioni della follia umana, simbolo dell’incertezza dei tempi, fonte di ispirazione artistica, testimonianza delle distruzioni dettate dal progresso e, solo talvolta, oggetti da ammirare. Con questa mostra, il sempre valido Romaeuropa – questo progetto che porta arti visive, teatro, musica e performance nei luoghi simbolo della Capitale è una sua anteprima – ci fa a riflettere sul rapporto fra arte contemporanea e le nostre molte, troppe e tanto amate rovine – intese come patrimonio, ma non solo/sempre – spesso colpevoli (o colpevolizzate?) di un cronico ritardo sulla trattazione dell’arte contemporanea. E lo fa, mi pare, egregiamente: ossia presentando i migliori prodotti dell’una e dell’altra istanza a confronto.
Scritto da Enrica Murru