Kamasi Washington ha iniziato la sua carriera suonando il sassofono con vari pezzi grossi del jazz e della black music, e avrebbe potuto rimanere a fare quello per tutta la vita, come tanti. Ma la svolta arriva quando fa da arrangiatore agli ultimi lavori di Flying Lotus e Kendrick Lamar, che riportano il jazz in territori da cui si era un po’ allontanato. È a questo punto – ottobre 2015 – che i tempi sono maturi perché Kamasi butti fuori il monumentale triplo album The Epic. Free music per orchestra e coro: magniloquente, esagerato, senza limiti. Il disco attira non poche attenzioni, è un lavoro particolare, tutte le testate ne parlano bene e presto diventa quasi di moda: i più intransigenti lo bollano come «Jazz per lettori di Pitchfork» o si affrettano a ricordarci che il sassofonista di Los Angeles non è Sun Ra né John Coltrane. È vero, ma è anche vero che si tratta di un buon lavoro, e soprattutto di un lavoro “importante”. Che rimette certe sonorità e un certo spirito sulla mappa. Dal vivo Kamasi e la sua band garantiscono uno spettacolo impressionante: perizia tecnica mostruosa, accompagnata da un’anima black che li tiene lontani dallo sfoggio di bravura fine a se stesso. Concerti torrenziali ma con grande divertimento – in primis per chi è sul palco, e di conseguenza per chi sta sotto.

Federico Sardo