Le nostre “emergenze migranti” vengono presentate quasi sempre con le immagini di questi giorni: imbarcazioni di fortuna che solcano, purtroppo a volte senza approdo, il Mar Mediterraneo. Ma all’estremo orientale del Mare Nostrum, la guerra in Siria ha creato situazioni in cui milioni di persone hanno cercato rifugio via terra nei paesi confinanti: oltre quattro milioni di siriani hanno trovato asilo tra Libano, Turchia e Giordania. E proprio nel paese di Re Abdullah II, circa 80000 siriani sono attualmente in condizione di attesa, con lo status di rifugiati, nel secondo più grande profughi attualmente esistente, quel Camp Za’atari che avevamo già imparato a conoscere nel consigliatissimo documentario Salam Neighbour del 2015. Nel campo i problemi più noti sono a carico dell’UNHCR, per il resto è chi ci vive che si ingegna come meglio può: nascono negozietti, bar dove si può fumare il tabacco mu’assel, ma, soprattutto, si ragiona sul bene fondamentale: l’acqua. E Margherita Moscardini nella sua mostra ci porta nelle case e svela le fontane costruite dagli abitanti, non solo necessità primaria, ma anche piccole meraviglie, sia idrauliche che artistiche. Perché in un refugee camp, arte e acqua sono speranze quasi equivalenti.
Scritto da Roberto Contini