Dietro questo curioso pseudonimo si nasconde una musicista australiana di Melbourne, al secolo Carolyn Schofield, il cui concerto è anticipato dal (misurato) scalpore che hanno suscitato i suoi primi due lavori. Troppo “mossa” per essere considerata ambient, comunque troppo riflessiva per finire tra i ranghi dell’IDM, la musica creata dai suoi synth modulari è una via di mezzo definita dai “forse”, a cui certamente non fa giustizia nemmeno la definizione immaginata dal comunicato stampa, degna dei tempi d’oro di una rivista come Rockerilla: “Ha un’abilità innaturale nel maneggiare le nubi di vapore ad alta risoluzione che si condensano attorno ad accordi e strutture melodiche inquiete, forse evocando la meraviglia e l’apprensione infantili di fronte all’universo ignoto che ci circonda”. Tutto chiaro, no?
Scritto da Andrea Cazzani