“Non canta, non balla e non suona. Ma per una serata pretende 47000 euro. Più altri 20-25.000 che se ne vanno in note spese: dall’aereo privato ai dieci cartoni di champagne e ai dieci di acqua minerale (ah, il secchiello del ghiaccio deve essere cambiato ogni 15 minuti). Cosa fa di speciale? Niente, semplicemente mette su dischi. Lui è Danny Tenaglia, il deejay più costoso del mondo”. Così scriveva nel 2008 il Corriere della Sera, alla vigilia di una data al Cocoricò. No, non siamo qui a discettare della solita scrittura blanda ed effettistica della stampa tradizionale quando si parla di clubbing. È utile però per mettere in prospettiva la carriera di Danny: dalla meteorica ascesa di fine anni ’90 con la deep e progressive house di “Tourism”, passando per gli innovativi e squisiti “Back to Mine”, “Back to Basics” e “Global Underground” mix, fino all’apoteosi di meta’ anni 2000 e la graduale caduta nell’anonimato a fine decennio. Cosa resta di Danny nel 2018? Produzioni, poche, certo. La maestria nel mix e nella selezione, la ricerca continua, forte di una collezione di dischi senza rivali al mondo, indiscutibile. Gli anthem nella valigetta, specie quelli che ha prodotto nel corso della carriera, a New York e Miami. Niente male per uno che “non canta, non balla e non suona”.