Nel mese in cui l’intero sistema dell’arte osserva, desidera e consuma tutto ciò che accade dentro e fuori la Biennale di Venezia, Bergamo ha l’onore di ospitare, a poca distanza dall’apertura della gigantesca mostra al Guggenheim di Bilbao, quella ragazza prodigio di nome Jenny Holzer che quasi trent’anni fa, proprio sulla Laguna, si aggiudicò il Leone d’Oro per il miglior padiglione.
La mostra curata da Lorenzo Giusti si svolgerà in uno dei luoghi più iconici del capoluogo bergamasco, ovvero il Palazzo della Ragione, storico edificio del XII secolo nel quale la Holzer disporrà una nuova serie di proiezioni luminose, ovviamente pensate ad hoc per integrarsi nello stile romanico della Sala delle Capriate.
Ma cosa rende quest’artista nata a Gallipolis nell’Ohio tanto irresistibile ai musei di tutto il mondo?
L’uso della parola non rappresentava certamente una novità nel contesto in cui la Holzer esordì nella metà degli anni 70; artisti come Lawrence Weiner, John Baldessari, Alighiero Boetti e Robert Barry, solo per citarne alcuni, erano stati protagonisti di quello spartiacque culturale chiamato Arte Concettuale, fenomeno che pose una sfida alla autoreferenzialità visiva e formale dell’opera attraverso la produzione di definizioni linguistiche.
L’ingrediente che imprime al suo lavoro una traiettoria pubblica, che esonda dal fiume teorico della concettualità, è l’affilatissima arma della banalità, la cui forza Jenny Holzer conosce assai bene.
La testualità è il risultato di un’appropriazione che la Holzer fa di frasi ovvie, i cosiddetti Truisms, verità che non rivelano apparentemente nulla ma che assumono un peso attraverso il contesto che l’artista crea; che siano scritti su fogli di carta come agli esordi, o incisi su panche di marmo o ancora proiettati su larghissima scala in luoghi pubblici, i Truisms implicano un coinvolgimento intimo con qualsivoglia individuo che decida di soffermarsi a leggerli per qualche secondo.
Con il passare degli anni poi la sua ricerca, generatasi in un quadro poststrutturalista, ha maturato un’identità estetica molto forte e riconoscibile; dalle effimere trascrizioni su fogli di carta si passa al perfezionamento di vari medium che riportano l’opera di Jenny Holzer sul terreno modernista dell’unità simbolica.
Scritto da Marco Beretta