Alcune caratteristiche proprie dei bambini e di un certo tipo di artisti mi hanno sempre affascinato e suscitato una (sana) invidia: la principale è quella dell’assoluta libertà immaginativa. La fantasia a briglia sciolta, quella che alcuni digital thinker della Silicon Valley chiamano pensiero “Out of the box”, è una risorsa che in certe categorie di persone appare inesauribile, e consente loro di creare mondi a partire da qualche pagina bianca e un po’ di filo colorato.
È quello che a Maria Lai riusciva meglio, questo continuo ribadire le costanti possibilità garantite
dall’immaginazione, ed è per questo che una mostra come quella ospitata al MAXXI è assolutamente pantagruelica, ricca com’è di stimoli e spunti. Tra cui anche un altro fondamentale nella ricerca di Lai, imperniato sulla capacità che ha l’arte di ricucire il senso delle cose, le comunità, le generazioni: una chiave di lettura che tiene insieme molto del lavoro dell’artista, impegnata a descrivere mondi lontani e cosmogonie mai sperimentate per espandere i propri orizzonti, veri e figurati.
Una risorsa fondamentale, se ci pensate, per una donna cresciuta nel primo dopoguerra in un’isola quasi autarchica – alla quale farà ritorno in modo rocambolesco grazie a delle scialuppe di salvataggio. Quando chiudere i porti era ancora più di moda di adesso.
Scritto da Enrica Murru