Ogni anno a Ravenna succede l’impossibile. Ogni anno nella provincia romagnola c’è una quantità di concerti da far impallidire gran parte delle maggiori città italiane, ma soprattutto ci sono due appuntamenti – per molti aspetti agli antipodi tra di loro – che a ogni edizione alzano di un po’ l’asticella della qualità e dell’attitudine “avventurosa” e ambiziosa dei festival in Italia. Se il Beaches Brew di Marina di Ravenna è il festone in spiaggia a giugno, caciarone, solare, “rock’n’roll oriented” ma comunque sempre attento alla contemporaneità e ai suoni dal mondo, Transmissions a Ravenna è il suo lato oscuro, più sperimentale e audace, avvolto nel buio e nel mistero di novembre e guidato da una visione sulla ricerca sonora intima nell’esperienza ma totalmente internazionale e aperta al mondo nelle coordinate musicali. Per la dodicesima edizione Transmissions rilancia un’altra volta, tornando a essere curata non dal suo ideatore Chris Angiolini o da un artista, ma da ben due. E che due.
Da un lato Martin Bisi, guru della scena alternativa e noise newyorchese (fondatore dello storico BC Studio e produttore, tra gli altri, di Sonic Youth, Swans e Unsane, il suo ultimo lavoro “BC35” è stato prodotto proprio dall’etichetta di Bronson), dall’altro Radwan Ghazi Moumneh, ingegnere del suono, produttore e musicista canadese di origini libanesi (e anima del progetto Jersualem in My Heart). E quindi due nomi che garantiscono percorsi scoscesi tra i territori di avanguardia, noise, psichedelia, elettronica sperimentale e “world music”, con un risultato finale che dal rock acido dei White Hills arriva all’elettroacustica d’autore di Oren Ambarchi, dall’avant noise della (No) New York dei Live Skull e del BC35 Collective arriva alla nuova wave del Cairo di Maurice Louca e Nadah El Shazly, attraverso il jazz distopico dei Parlor Walls e l’elettronica-spoken-word della colombiana Lucrecia Dalt. Un concept e una proposta sonora che da sole rendono Transmissions, ancora una volta, un festival di inaudita potenza e una garanzia (anche da prendere a scatola chiusa) dell’autunno festivaliero italico. Se in più ci mettete la location clamorosa del main stage, le Artificerie Almagià, tutto il patrimonio storico-artistico di Ravenna e i pranzi nelle trattorie local potreste cominciare a pensare che il festival perfetto non è detto che sia (solo) quello in spiaggia.
Scritto da Chiara Colli