Domandarsi cosa significhi il termine post rock significa chiedersi come si arrivò a chiamare così la musica dei Tortoise. L’ipotesi più convincente è anche la più banale: quando uscì l’omonimo album nel ’94, non si capì cosa fossero. Lungimiranti Zarathustra in grado di cantare la “morte del rock” mischiando free jazz, dub, elettronica, rock, kraut e post punk in una sorta di dadaismo psichedelico, o superbi auto-eletti Superuomini autori di tale ingombrante omicidio? Ventidue anni dopo – alla luce di un ritorno discografico atteso ben sette anni come The Catastrophist, che è anche il loro disco più post rock per come intendiamo oggi il termine – i dubbi persistono. E a maggior ragione ora mi affascina rispondere al quesito considerandoli dei “distruttori” del rock, ma capaci di una decostruzione scientifica e calcolata, consapevolmente non definitiva. Rivivere quel processo dal vivo è però davvero qualcosa che porta “oltre”. “Post”, allora sì, ma anche a prescindere dal rock.
Scritto da Matteo Meda