La storia di come Garnier sia stato folgorato dalla house music quando, appena 20enne, sul dancefloor dell’Hacienda, venne investito dalla potenza della Chicago grazie a “Love Can’t Turn Around” di Farley Jackmaster Funk, che Mike Pickering aveva deciso di suonare nel bel mezzo della serata, è ormai leggenda. Pochi sanno, però, che fu qualche anno prima, durante una vacanza italiana, che Laurent, di fronte alla Baia Imperiale di Gabicce e alla sua discoball, ebbe l’illuminazione che lo portò a dire: “Voglio essere un dj”. C’è un po’ di campanilismo da parte nostra in tutto ciò? Mettiamola così. Fatto sta che quell’episodio “maieutico” ha svegliato la coscienza del giovane Laurent. La maieutica, appunto, è forse l’esercizio che ha definito l’arte musicale di Garnier nei suoi 30 anni di carriera.
È stato così durante i suoi anni inglesi come resident all’Hacienda, dove, francese in terra straniera, ha saputo stravolgere i gusti del pubblico proudly UK, determinando non poco il movimento della rave culture. È stato così anche qualche anno dopo quando, tornato profeta in patria, ha portato la lezione techno a Parigi intimando al pubblico musicale francese “Wake up” e ispirando la french touch dei vari Daft Punk e Cassius. È stato così, ancora, quando tra i primi ha sperimentato la commistione di genere, facendo dialogare elettronica e balletto, insieme alla Pietragalla prima e, poco dopo, al Bolshoi con Preljocai o abbracciando il jazz in un pezzo geniale e senza tempo come “The Man With The Red Face”. È così oggi quando, nell’esasperazione del social promoting, Garnier continua con entusiasmo a ricevere l’elettrochoc dalla musica, lasciando la sua inconfondibile impronta ma con la filosofia della faceless techno: prima, appunto, la musica, poi il nome (vedasi “Feelin’ Good”, uscita a luglio su Rekids).
Già, proprio così! Love Can’t Turn Around.
Scritto da Michelangelo Situation Redaelli