Tra le poche mostre che aprono comunque nonostante il rinvio di Art City c’è questa collettiva curata da Fabiola Naldi con un titolo che, considerata la circostanza, calza a pennello. Dopo la bellissima 3 Body Configurations del 2020 che raggruppava alcune opere di Claude Cahun, Valie Export e Ottonella Mocellin (co-curata insieme a Maura Pozzati), anche Libero spazio libero si concentra esclusivamente su voci femminili appartenenti a cinque momenti della storia dell’arte e a cinque generazioni differenti: Giulia Niccolai, Martha Rosler, Lucy Orta, Claudia Losi e Claire Fontaine. Una mostra che la curatrice più che femminista definisce “matriarcale” e in cui si conferma l’elemento centrale del rapporto con la realtà circostante (spazio, contesto, identità) declinata attraverso la poesia, la performance, l’arte e il suono.
Libero spazio libero perché le artiste “si presentano come libere interpreti di uno spazio che inizialmente è puramente espositivo, ma poi si lascia manipolare per estendersi alle necessità di ciascuna”.
Diciassette le opere che guidano i visitatori in un percorso alla scoperta del rapporto tra corpi, libertà e spazio.
Di Giulia Niccolai, poeta visiva scomparsa nel giugno 2021 alcune preziose opere presenti negli archivi del Museion di Bolzano e una collaborazione con Maurizio Osti del 1972.
Di Martha Rosler due video con le sue parole tradotte per la prima volta per il pubblico italiano:Vital Statistics of a Citizen, Simply Obtained (1977) che affronta la questione del ruolo della donna nello spazio pubblico e privato e Secrets From the Street: No Disclosure (1980), attorno alle tematiche dello spazio urbano e alle attuali problematiche legate alla gentrificazione e rigenerazione sociale.
Dal dialogo fra Lucy Orta e la curatrice è emersa la necessità di mostrare tre opere degli anni Novanta della serie Refuge Wear,habitat portatili e autonomi che riflettono su questioni di mobilità e sopravvivenza umana corredati in questo caso da un prezioso disegno a supporto dell’installazione.
Claudia Losi, la cui ricerca si concentra soprattutto sul rapporto tra l’uomo e l’ambiente che lo circonda, presenta un’opera fotografica mai esposta, Dettaglio foto documentarie delle tappe del viaggio della balena Goliath, 1959-1977 (2021) e Lost in Wonder, una stampa su serigrafia vinilica realizzata apposta per l’esposizione.
Claire Fontaine, collettivo dal forte approccio concettuale e politico, dialoga, infine, attivamente con lo spazio espositivo insinuandosi sulle pareti tramite una serie di interventi linguistici pensati appositamente e tre opere “rigenerate” dalla collaborazione fra il collettivo e la curatrice come l’immagine dell’Olympia deturpata a favore dell’hashtag #metoo e in formato cartolina multiplo .
Scritto da Salvatore Papa