L’attesa è quasi finita: i Verdena si preparano ad accendere anche la Capitale. Le due date precedentemente annullate confluiscono in una sola, che chiuderà il tour indoor prima delle tappe europee. Dopo sette lunghi anni di silenzio, il trio torna dunque al suo posto, dove non si è mai smesso di aspettarli: il palco.

Attivi dal 1995, ormai non c’è generazione che non sia rimasta direttamente o indirettamente intoccata dalla loro musica e l’opportunità di sentire dal vivo quello che di nuovo (e di vecchio) hanno da dirci non dovrebbe essere mancata da nessuno. Incazzati, psichedelici, fuori da schemi e logiche prima che esserlo diventasse una moda sterile, i Verdena non hanno mai smesso di sperimentare e di smentirsi, album dopo album e l’ultimo, “Volevo magia”, ne è la prova.

In termini sonori la ricetta è semplice, ma il risultato è tra quanto di più complesso la musica italiana più recente abbia partorito. Prendete un contenitore (poco) grande quanto una provincia bergamasca, alla chitarra e voce di Alberto aggiungete la batteria del fratello Luca Ferrari – considerato a buon ragione tra i migliori batteristi italiani di sempre – e a chiudere una dose smisurata del basso di Roberta Sammarelli.

È indubbio che dentro i contorti pezzi del trio ci sia l’espressione, sempre puntuale e spesso
ossessivamente cupa, di un modo di sentire che è proprio di chi emotivamente si spende sempre tanto, forse troppo. Difficile, se non impossibile, restare quindi indifferenti alle parole urlate e spezzate di Alberto rivolte a un “tu” mai del tutto chiaro, ma in cui ciascuno può intravedere quel che ama fino a far male, fino al punto di odiare. Contro la banalità del senso a tutti i costi, i testi dei Verdena sono stati spesso definiti di difficile comprensione. Ma hanno anche dei difetti.