Dagli “incantesimi” allo “spirito” passando per i “suoni dell’universo”, dalla provincia londinese agli stadi di mezzo mondo. Dallo speedball alle malattie vere. Sono lontani gli anni dell’electropop, del lavoro in cassa da Sainsbury e delle crisi isteriche perché Cobain “gli aveva rubato l’idea” (del suicidio). Dave Gahan ha smesso di drogarsi, Martin Gore di bere e Andy Fletcher di esaurirsi per metterli d’accordo. I Depeche Mode sono tre ultra cinquantenni in perfetta forma, un’industria-elettronica-riempi-arene-rock sopravvissuta, contro ogni pronostico, a oltre tre decenni. Sono i traghettatori di musica per le masse, quella che dal synth pop è giunta a un electrorock tra gospel pop e retro futurismo, rubando dichiaratamente a Kraftwerk e Neuebauten, giocando continuamente col dualismo tra peccato e redenzione, ombra e luce, Gahan e Gore. La loro quattordicesima prova in studio, Spirit, è pop sintetico e soulful, che però si fa politico, mantenendo i consueti scenari oscuri e claustrofobici ma arruolando alla produzione James Ford dei Simian Mobile Disco. Dal vivo, lo sappiamo tutti, quello che ci aspetta è il “solito” show monumentale pieno zeppo di classici.
Scritto da Chiara Colli