Woody Allen è stata probabilmente la persona che mi ha fatto più ridere e riflettere sul senso – o meglio, il non senso – della vita e dell’amore. Oltre ad aver scritto, diretto e spesso interpretato, alcuni dei film più intelligenti e senza tempo, quindi sempre attualissimi, nella storia del cinema. In realtà, se avesse potuto scegliere, avrebbe fatto altro nella vita. Nella sua spassosa e controversa autobiografia, “A proposito di niente” (La Nave di Teseo, 2020), lo ammette senza mezzi termini: “Se avessi avuto un fisico migliore avrei giocato a baseball. Se avessi avuto più talento, sarei diventato un musicista jazz”.

E così quella passione per la musica jazz, anzi per “l’unica arte originale americana del XX Secolo”, oltre a essere evidente in ogni sua pellicola, si è trasformata nel tempo da classico divertissement o via di fuga dallo stress in una carriera parallela a quella cinematografica. Da oltre quarant’anni Allen omaggia con la sua New Orleans Jazz Band i grandi del passato come Sidney Bechet, George Lewis, Jelly Roll Morton, Bunk Johnson e ovviamente Louis Armstrong con un repertorio di oltre 1.200 canzoni nel quale si intrecciano melodie popolari, inni, spiritual, marce, blues e rags.

In linea con la natura spontanea della musica, la scaletta viene improvvisata e nessuno, nemmeno i musicisti, sanno quale canzone Allen chiederà di suonare dopo. Torna a Roma da band leader dopo tredici anni, non prima di aver presentato a Venezia, fuori concorso, il suo nuovo film “Coup de chance”, il primo scritto e girato interamente in francese. Vederlo in carne e ossa,
a ottantasette anni suonatissimi, con i suoi occhiali iconici e il suo amato clarinetto, sarà una delle più belle ed emozionanti cartoline musicali dell’anno. Per una sera il palco di Villa Ada si trasformerà in una versione en plein air del Carlyle Hotel di Manhattan.