Lunedì 11 dicembre ore 21, POP UP CINEMA propone al pubblico di TOP DOC uno spaccato della nostra città con THIS IS BOLOGNA già presentato a Biografilm Festival 2023 con grande successo, alla presenza dei registi Lucio Apolito e Alvise Renzini di Opificio Ciclope e la produttrice Serena Gramizzi di Bo Film e tanti altri che hanno collaborato o partecipato alla realizzazione.
Frequentatori di cinema a luci rosse, tossicomani di videocassette, barbieri ottuagenari, locali notturni, gente che vive sugli autobus, palestre, radioamatori, turisti, nomadi, tycoon del bulloni: sono i personaggi protagonisti di This Is Bologna, un film in dieci episodi realizzato dal collettivo Opificio Ciclope, nato quasi 30 anni fa negli spazi del Link project. Un omaggio al genere anni 70 dei documentari sensazionalistici noti come Mondo Movie, quelli che censivano usanze assurde, talvolta del tutto false, da un capo all’altro del mondo.
La protagonista è Bologna, una città raccontata attraverso i suoi personaggi “minori” un po’ nerd, freak, ossessionati, prossimi a scomparire, mentre altri ne compaiono all’orizzonte.
C’è l’italocanadese che si riscopre archeologa scavando una cantina in via Fondazza, i barbieri ottuagenari, i frequentatori del Cinema Excelsior, uno degli ultimi a luci rosse; c’è il borseggiatore dei trenini turistici e il prestidigitatore Mr Shadow, con gli altri radioamatori alla conquista dell’etere; c’è la storia dello Sferisterio, edificato per ospitare l’antico gioco del Pallone Toscano; i fanatici del vhs, cinedipendenti radunati attorno al videonoleggio Balboni; c’è la tribù che abita il villaggio nel roveto dei Prati di Caprara, gli irriducibili del punk al bancone del Freakout club, gli insonni viaggiatori della linea notturna 61.
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Qui ne abbiamo approfittato per fare qualche domanda ad Alvise Renzini, regista insieme a Lucio Apolito.
Perché l’avete chiamato This Is Bologna?
È un titolo provocatorio, perché è chiaramente una Bologna molto diversa da quella che viene promossa ufficialmente.
Come lo presenteresti a chi ancora non lo ha visto?
È un film sperimentale totalmente fuori formato, ma non è neanche un film perché non nasce con ambizioni cinematografiche. Noi l’avevamo concepito per venderlo a testate editoriali, come una serie adattabile anche ad altre città, ma in Italia il mercato non è molto ricettivo in questo senso. Sono comunque dieci episodi assortiti come un fritto misto. È un film rotocalco, come sfogliare una rivista.
Cosa volevate raccontare?
Sono storie bizzarre e molto minute cercate sulla strada durante la pandemia. Volevamo documentare, lasciare una traccia di ciò che sta per scomparire, con un assurdo retorico che parte dalla pre Bologna per preconizzare una post Bologna.
Cosa lo caratterizza di più secondo te?
Sicuramente la varietà e l’aspetto visivo. Ciò che abbiamo fatto è stato anche frugare negli archivi personali dei vari soggetti. Un episodio, ad esempio, è su una signora nel cui giardino furono ritrovati i cippi di via Fondazza, il vecchio ingresso di Bologna. E lì non siamo andati a chiedere agli archeologi, ma siamo partiti dalle foto del suo album di famiglia.
Guardandolo, tra l’altro, si scoprono molte cose. Tipo – e me ne vergogno – io non sapevo ci fossero ancora cinema a luci rosse aperti a Bologna…
Quando abbiamo iniziato a girare ce n’erano due, tra i 31 censiti in Italia nel 2019: il Corallo e l’Excelsior. L’Excelsior non ha superato il lockdown, il Corallo è ancora aperto ed è via Sardegna. È una di quelle realtà in via d’estinzione la cui memoria sarà affidata ai pochi frammenti visivi rimasti.
In passato avevate fatto qualcosa di simile sulla città?
Non proprio simile, ma ci fu una serie intitolata USO, oggetti sommersi non identificati. Erano racconti assurdi che provenivano da città di mare o non di mare e che riuscimmo a infilare in un canale della prima proposta Sky che si occupava di paesaggi tropicali e barche a vela. In quella serie fingevamo di fare delle inchieste su casi specifici di oggetti sommersi. L’episodio su Bologna riguardava della gente che comprava una droga per andare in vacanza senza muoversi.
Al di là del racconto, emerge comunque in This Is Bologna anche una critica della città…
Sì, vedi il rapinatore di trenini turistici, uno dei personaggi più assurdi. In quel caso è la nostra critica al turismo di massa, l’idea di inserire un elemento disturbante in una comfort zone. In quel centro storico diventato un parco giochi abbiamo voluto inoculare il seme di un borsaiolo che possa creare problemi ai poveri turisti inermi e regrediti allo stato infantile.
– la fotobusta di This Is Bologna –
Scritto da LR