Tendenzialmente, il filtro del tempo ci porta a percepire la musica classica come una faccenda intellettuale e istituzionale da salotto, laddove secoli addietro i compositori che ora fanno tirare fuori il vestito buono alle madame borghesi erano delle icone di grido o addirittura delle “rockstar maledette”. Non che Nils Frahm sia propriamente una pop star, ma – guardando anche i numeri di vendita e l’hype mediatico attorno alla sua figura – è certamente il compositore della cosiddetta scena neoclassical che più sta contribuendo a scardinare le convenzioni di un genere e di un ambiente, approdando a una musica dall’appeal trasversale. Del resto, a dispetto del tono solenne, melanconico e quasi liturgico delle sue opere, lui ama descrivere il suo approccio alla musica come un mix di improvvisazione, divertimento e libertà. Altro che foyer ingessati. Ha creato il Piano Day Festival nella sua Berlino, per poi esportare il format in mezza Europa, con l’intento di avvicinare un pubblico più ampio possibile alle nuove declinazioni del pianoforte. Il suo disco All Melody sembra collocarsi al crocevia tra Ludovico Einaudi e Nicolas Jaar (!), in bilico tra piano solo e pulsazioni elettroniche, addirittura con accenni world music (sopraggiungono percussioni africane e una tromba in lontananza) e accompagnato dai ricami vocali del coro londinese della Shards. Una summa della filosofia di Frahm: eclettico e aperto in tutte le direzioni, un po’ artigiano e un po’ nerd, da un lato l’avanguardia dall’altro l’anarchia. Stasera non potremo far altro che guardarlo increduli passare con disinvoltura dalle tastiere ai sintetizzatori vintage a qualsiasi altro strumento magico tirerà fuori dal cilindro.
Scritto da Lorenzo Giannetti