«Luoghi e persone che non esistono più fissati per sempre da Angus su tela e su carta. Il diario visivo non solo di Angus ma di un’epoca» così il regista Fabio Cherstich descrive le opere – da lui riscoperte – di Patrick Angus, esposte, nel 2021, alla galleria newyorkese di Stefania Bortolami.
New York, anni Ottanta, è lì che l’artista udinese, con questo spettacolo, porta lo spettatore e attraverso le vite di Angus, Larry Stanton e Darrell Ellis ritrae il mondo queer di quegli anni. Indagare e studiare materiali nascosti e inediti è, di solito, il compito del ricercatore, ma se è l’artista, in questo caso Cherstich, a occuparsi di questa rilettura la vedrà con occhi diversi, probabilmente meno oggettivi e più coinvolti nella storia che deve narrare, concentrandosi su dettagli che potrebbero sfuggire a uno sguardo più analitico.
Visual Diary è una performance intima, fatta di documenti d’archivio, conversazioni e immagini che riportano sul palco vite dimenticate.
Scritto da Francesca Rigato