Per cercare di intuire la figura di Karl O’Connor, la sua necessità nella galassia elettronica degli ultimi venti anni, l’urgenza del suo lascito e di quel che ha ancor da dare, basterebbe – in sintesi – elencare i suoi progetti. Un modo di procedere tanto didascalico e scolastico, quanto, in fin dei conti, a cuore aperto. Un modo molto elementare per indicare l’entrare in una modalità d’approccio che prevede: passo indietro e mani alzate, resa assoluta. Faccio onestamente fatica a dire il perché la techno ruoti, in maniera pressoché totale, attorno a lui. Parlano i solchi sui vinili, la Downwards, la sua etichetta, il baratro in cui ti getta, sempre. Più d’ogni cosa però parla il suo moniker. Questa declinazione che pare un genitivo latino. E invece è un uomo, vivo e vegeto, e viene Birmingham. Semplicemente: Regis.
Kyösti Våiniø
C’è una fame trepidante dentro te che aspetta di essere saziata. Poi arriva Samuel Kerridge a donarti la luce fatale, distruggendo con una breccia sonica il muro dei pensieri, liberandoti dalla fatica di stare al mondo e redimendoti dall’oppressione attraverso il suono. Fresco dell’uscita del suo album, “Fatal Light Attraction” – uscito su Downwards di papà Regis – il paladino inglese della techno anglofona e post industriale torna in città per far tuonare le mura dell’Ex Doagana. Ingredienti: distorsioni pesanti, turbinii di modulari e ritmiche compulsive.
Jacopo Panfili
Scritto da Nicola Gerundino