Avvertenza doverosa: chi scrive prova un innamoramento adolescenziale nei confronti del sublime letterario di E. T. A. Hoffmann e Poe. È per questo che vedendo le opere di Samorì non si è potuto fare a meno di soffermarsi sulle sue figure disturbanti, che flirtano col grottesco, che trasmigrano dalla tela – e dalla roccia, e della cera – alla realtà attraverso un procedimento artistico che gli fa prendere vita, fino a riflettere come in uno specchio la parte peggiore di noi. Un’incarnazione morbosa come quella accaduta all’Innocenzo X di Velázquez, diventato la truce copia di sé stesso per mano di Francis Bacon. Samorì sembra mutuare dal grande artista del ‘900 una certa carica romantica, in cui la figura umana si deforma e distorce a causa del contatto con l’esterno, che, per forza di cose, la corrompe.
Scritto da Enrica Murru