La carriera dei Motorpsycho andrebbe presa a modello, presentata e analizzata come il protocollo alpha di una rock band contemporanea. Con oltre trentacinque anni di carriera, nonostante diversi cambi di formazione – al momento sono un duo composto dai membri fondatori Hans Magnus “Snah” Ryan e Bent Sæther più vari collaboratori sia in studio che dal vivo – hanno saputo delineare una personalissima identità cangiante che li rappresenta appieno, li rende riconoscibili ma attraenti ancora oggi.
E mai scontati, portatori del fascino dell’indecifrabilità. La loro forza, interiore e con il pubblico, è quella di avere un innato slancio creativo, la curiosità per non rimanere a contemplare troppo a lungo lo stesso fiordo musicale. Partiti come un’anomalia della scena metal scandinava – a cominciare dal nome, chiaro omaggio al regista cult Russ Meyer – ormai da anni sono una delle più intriganti e vitali realtà rock tout court su scala mondiale.
In una discografia così ricca e aperta alle molteplici possibilità del rock e perché no talvolta del folk e del pop, ognuno avrà i propri capitoli del cuore, i dischi che lo hanno maggiormente sorpreso e conquistato. Per il sottoscritto sono, in ordine cronologico, “Timothy’s Monster” (1994), “Let Them Eat Cake” (2000) e “Here Be Monsters” (2016) ma la lista potrebbe continuare ancora. Tanto prolifici in studio quanto generosi e dirompenti dal vivo, non a caso sono amatissimi dalle nostre parti, tornano a Roma per presentare live il nuovo album “Motorpsycho”, un rigenerante trip di hard rock, krautrock e psichedelia sapientemente elaborato dalla band di Trondheim.
Scritto da Matteo Quinzi