Quest’anno dal Festival di Avignone gli avevano chiesto di preparare uno spettacolo privo di scenografie ingombranti, qualcosa che potesse essere replicato più o meno ovunque, leggero, sobrio, “popolare”. Così Milo Rau ha rinunciato a tutte le sue impalcature dell’anima, alle sue imponenti case, telecamere e proiezioni, fuochi fumi e fiamme, per presentare il suo La Lettre.
Quest’autunno lo porta anche al Romaeuropa. Parliamo di Giovanna D’Arco, de “Il Gabbiano” di Cechov, di intelligenza artificiale, di ossessioni (e quando mai), di conflitti generazionali, della funzione dell’arte scenica in questo nostro presente bizzarro, di politica, e, ovviamente, di morte. Milo Rau ci ha già svezzati a tutto questo: praticamente sgozzati attraverso madri infanticide, ma anche allenati alla visione della fine attraverso il video di un’eutanasia.
Così, mentre ancora dobbiamo riprenderci dagli ultimi spettacoli, andiamo a vedere cosa sarà “La Lettre”, e come farà uno come lui a mettere in scena uno spettacolo con due attori, due sedie e un tavolino, e cosa s’intende quindi per “teatro popolare”.
Scritto da Marina Zucchelli