Insieme a quello di Gnod e Cosmic Dead, il live dei Mugstar è tra i ricordi che emergono più nitidamente dalla nebulosa di thc che avvolge la mia esperienza all’Eindhoven Psych Lab di due anni fa. Se è vero che la febbre psichedelica degli ultimi anni ci ha propinato svariati nuovi gruppi che sono copie carbone delle loro collezioni di dischi, l’effetto collaterale positivo è stata la possibilità – per quei musicisti che certe visioni ce le avevano fin da tempi non sospetti – di farsi conoscere, uscire per etichette (relativamente) più importanti e fare tour più ampi anche qui nel Belpaese, nella provincia dell’Impero. Da Liverpool, I Mugstar hanno nel cv l’ultima session mai registrata da John Peel nel 2004, una cura ricostituente a base di Hawkwind, Black Sabbath e corrieri cosmici, una discografia massiccia che sfonda abbondantemente il muro delle 20 release e annovera split con Mudhoney e Oneida, un ultimo album – Magnetic Seasons, che sfiora i suoni post rock – per la Rock Action dei Mogwai. Dal vivo sono quel genere di trip unico e deforme che a fine set di fa schizzare avidamente al banchetto del merch, facendoti dimenticare che tornerai con un volo low cost e dovrai buttare i tuoi vestiti se vorrai riportare a casa i dischi. Nulla di meglio che la nebulosa delle Weed Sessions per accoglierli.
Scritto da Mary Anne