2008, Massachusetts: sui giornali compare la notizia che diciotto ragazze di un liceo di Gloucester hanno deciso di rimanere incinte contemporaneamente.
2011, Francia: esce 17 ragazze (17 Filles), film diretto da Delphine e Muriel Coulin, che racconta la storia di diciassette adolescenti di un liceo francese che restano incinte come gesto di ribellione collettiva.
2016, Italia: Marta Cuscunà porta in scena Sorry, Boys, terzo capitolo della trilogia Resistenze femminili, ispirandosi proprio alla vicenda del 2008.
Vere o di finzione, queste storie mettono in luce atti di ribellione e di riappropriazione: del corpo, dello stato di essere madre, di un pensiero libero da costrutti sociali. Le domande da porsi, oggi più che mai, sono numerose e femminicidi e abusi continuano a occupare quotidianamente le cronache di ogni media, facendo sembrare impossibile una soluzione capace di arginare questo massacro. Marta Cuscunà concentra la propria riflessione sulla responsabilità collettiva e la possibilità, ancora fragile ma necessaria, che cultura e informazione rappresentino un lume di speranza nel buio dell’irragionevolezza.
In Sorry, Boys due schiere di teste animatroniche prendono vita dalle mani dell’attrice, mentre una chat – inquietantemente simile a quelle che scorrono sui nostri schermi ogni giorno – racconta i fatti in un dialogo corale. Da un lato gli adulti, dall’altro i ragazzi che hanno messo incinte le diciotto adolescenti: entrambi cercano di capire, di spiegarsi, di immedesimarsi, ma finiscono col raccontare, senza accorgersene, sé stessi e il proprio smarrimento. E allora, quali nuove strutture di pensiero possono attivarsi dopo aver ascoltato queste storie? Chi non ha voce riesce finalmente ad averne una, o il ciclo della storia continua, ostinato, a mostrarci che si cambia appena, muovendosi di poco, senza mai andare davvero lontano? Forse, in fondo, non necessitiamo della speranza, ma della consapevolezza di saper vedere e riconoscere ciò che accade intorno a noi.
Scritto da Francesca Rigato