Vorrei entrare in una casa giapponese. Togliere le scarpe all’ingresso e iniziare ad esplorarne gli spazi interni. Fluidi, non ostacolati dalla presenza eccessiva di muri, che si fondono con compostezza, senza rinunciare alla propria identità. Carpire l'”en”, la connessione, delle cose, delle persone e del territorio come spiegato anche al Padiglione della Biennale di Venezia. Salire e scendere i gradini che determinano i salti di quota e la complessità spaziale, come all’interno cosi all’esterno. Ricercare i caratteri innovatori e quelli tradizionali che richiamano ai maestri Shinohara e Sakamoto, Kenzo Tange, Toyo Ito e Sejima. Captare i nessi che formulano la quotidianità e trasformano i luoghi collettivi o individuali in spazi comuni, acquisendo anche importanza sociale e aggregativa. Come ci sentiremmo nella House Na di Fujimoto? O nella Moriyama House di Nishizawa? O sul tetto della Roof House di Tezuka Architects? All’inizio probabilmente disorientati. Nell’attesa di questa esperienza, al Maxxi si indaga proprio dell’importanza dello spazio domestico nella società e nell’architettura giapponese. Un tema da cui forse prendere spunti di riflessione anche per il mondo occidentale.
Scritto da Emiliano Zandri