«Qualcuno deve sempre gettare il panico se si vuole che il senso delle cose sia continuamente rivelato, e anche se si vogliono rompere e rimescolare un po gli organismi del potere». In un’Italia pronta ad agitare le acque dalla calma pratica del funzionalismo, si levarono queste parole dai toscani Archizoom, che si riveleranno poi uno dei cuori del movimento radicale italiano. Inizia negli anni 60 a crescere una forte esigenza di nuove formulazioni teoriche e linguistiche per intendere diversamente dal passato il rapporto tra forma e funzione, che fino a quel momento storico era stato esaltato, a scapito del guizzo dirompente della creatività. Si inneggiava a una funzione-teorica: il progetto architettonico, interpolato attraverso metafore fantascientifiche del mondo tecnologico e tematiche utopiche, veniva usato come messaggio divulgativo mondiale. Dall’altra parte del mondo, negli stessi anni, giungeva dal Giappone un’eco Metabolista che inneggiava al cambiamento per la sopravvivenza. Una progettazione utopica, che mandasse in frantumi l’idea di una società cristallizzata e immutevole a favore di un’architettura capace di crescere ed adattarsi all’ambiente e all’evoluzione umana. Una speculazione architettonica che portasse a un risultato duttile e mutevole. Due facce della stessa medaglia: la società. Questa mostra avvia uno studio comparativo tra i due movimenti, ponendo in evidenza le affinità e le distanze esistenti tra le esperienze architettoniche condotte. Nel particolare questo viaggio esplorativo si compierà analizzando tre ambiti che hanno toccato sia il movimento metabolista che radicale: l’ambiente, la tecnologia e l’idea di abitare.
GIULIA BERARDI
Tra le opere in mostra, lavori di: Arata Isozaki, Archizoom, Kiyonori Kikutake, Kisho Kurokawa, Fumihiko Maki, Otaka Masato, Superstudio, Kenzo Tange, UFO; e 2A+P/A, AlphavilleArchitects, DAP Studio, Sou Fujimoto, IAN+, Yamazaki Kentaro, Yuko Nagayama, O + H Architects, OFL Architecture, Orizzontale, Studio Wok, Tipi Studio.
Scritto da Martina Di Iorio