Quando arrivai nel museo di Dalì a Figueras mi trovai di fronte un edificio con delle uova dorate sui cornicioni e nel cortile una Rolls-Royce con sopra la statua di una tettona. Quando entrai nel Vittoriale di d’Annunzio, scoprii che il dandy de noantry aveva piazzato un incrociatore nel suo giardino per dare una nota di colore. Giunto nel museo di Escher a L’Aja, ho temuto di trovarmi a testa in giù per una scalinata senza fine tra il bagno e l’angolo cottura. Fortunatamente l’artista si era limitato ad appendere ovunque dei lampadari raffiguranti teschi e balene. Genio tutto olandese, il suo: matematico, architettonico e drogato. Le sue opere sono un misto di disegno tecnico, quiz da “Settimana enigmistica” e inchiostro di china diluito con Lsd. Dagli specchi alle figure seriali, fino alle gradinate impossibili che sono diventate il suo marchio di fabbrica. Sono convito che un giorno riuscì a intingere la testa nella quarta dimensione e sopraffatto dalla sua visione, riuscì a riprodurre solo tramite disegni quanto visto. Quantomeno questa è la mia versione romantica. Magari semplicemente come designer di interni non valeva un cazzo. Ma alla fine è andata bene così, sia a noi che a lui.