In un periodo in cui dire “Spinoza” significa per molti, se va bene, evocare il serissimo blog satirico, non manca certo il coraggio, e già lo sapevamo, a Romeo Castellucci per portare in scena, a modo suo ovviamente, uno spettacolo, o meglio, per dirla con le sue parole, un “esperimento di antropologia teatrale” ispirato all’Ethica del seicentesco filosofo olandese.
ETHICA. Natura e origine della mente, risalente nella sua prima concezione al 2013 e prodotto grazie a una mirabile triangolazione tra la Societas di Castellucci, Venezia e la Francia, non poteva che trovar casa, a Milano, al Teatro dell’Arte in Triennale.
Un luogo speciale, che per elezione e vocazione ha dato nelle ultime stagioni grande spazio al teatro più visivo, quello in cui la parola scritta, la drammaturgia, è solo uno degli elementi, e non certo il più importante, che concorrono alla magia effimera dello “spectaculum”, inteso proprio in senso etimologico come cosa da guardare.
In scena l’eterea eppure così fisica Silvia Costa, una performer e regista molto vicina alle sfide proposte e alle domande poste da Castellucci, che non per caso la sceglie come interprete nei propri spettacoli da oltre dieci anni.
La ritroviamo letteralmente e precariamente appesa a un filo, sospesa, in alto sopra le teste degli spettatori, con l’icastico gesto di un dito levato in aria, unico supporto in grado di reggerla, non si sa come né per quanto. Una trovata tutta teatrale, quasi un macchinismo barocco che ci rimanda, forse per analogia simbolica, alle modalità di messa in scena tipiche dell’epoca del filosofo immanentista.
Con lei, un cane, nero, vero. Un Terranova cui dà voce Bernardo Bruno. Un grosso contrasto in un abbagliante spazio per altro bianco, vuoto. E, protagoniste anch’esse, le sculture iperrealiste di Istvan Zimmermann e Giovanna Amoroso, a svolgere il ruolo di apparizioni quasi oniriche.
Null’altro, se non, e non è poco, il pubblico, che è chiamato ad abitare e agire lo spazio teatrale, scoperto attraverso un ingresso tutt’altro che tradizionale, visto che avviene attraverso l’apertura stretta di una silhouette femminile intagliata nella parete.
Mente, Corpo, Natura, Dio, o più modernamente, Inconscio, Simbolo, Luce, Allegoria. Confrontarsi con un filosofo dalla modernità strabiliante e forse in modo strabiliante misconosciuto e sottovalutato come Spinoza (e in vita anche osteggiato, visto che era riuscito a scontentare ad un tempo la comunità ebraica da cui proveniva così come i protestanti e i cattolici con cui si confrontava) pone per forza l’accento sulle questioni massime e ultime.
L’interpretazione però è libera, e forse intellettualizzare per forza non bisogna: il fatto teatrale, con Castellucci, va necessariamente vissuto, non spiegato. Fatelo al Teatro dell’Arte.
Credito foto: Guido Mencari
Scritto da Mario Macchitella