Trasformazione chiama movimento; movimento chiede ritmo; il ritmo è il motore pulsante della rivoluzione. Attraverso tre progetti filmici incompiuti, Que viva Mexico! (1931-1932), Il prato di Bežin (1935-1937) e Il canale di Fergana (1939), Sergej Ėjzenštejn mette in scena due significati di “rivoluzione”. I materiali riflettono la singolare visione del cinema del regista di origini sovietiche, la sua capacità di pensare le connessioni e le velocità della storia, tra spinte in avanti e marce indietro; di leggere la presenza umana, la fisicità e la gestualità dei corpi; di puntare la telecamera sulla variegata fisionomia dei volti.
Scritto da Alice Militello