Sembra essere passato un secolo da quando una sconosciuta Angel Olsen era la quota rosa nella band del principe Will Oldham e in tour apriva le serate presentando Strange Cacti, primo atto discografico a suo nome. Da sola: voce, chitarra e un fascino infinito. Era l’estate 2012 in un infuocato Circolo degli Artisti (R.I.P.) e di lì a qualche mese la faccenda si sarebbe fatta ancora più intrigante con l’esordio Half Way Home. Sei anni dopo, Angel Olsen è una degli artisti di punta del nuovo cantautorato (indie) rock americano. Merito del già citato esordio e dei successivi Burn Your Fire For No Witness (2014) e My Woman (2016), album osannati un po’ ovunque, fino alla riuscita raccolta Phases dello scorso anno. Ma il vero punto di forza della Olsen sono i concerti, nei quali i graffi e le carezze – a base di folk, country e indie rock – hanno la stessa intensità, coadiuvata da una band di primissimo livello che sa gestirsi nei piccoli club come sui palchi dei grandi festival, dal Coachella al Primavera. Per il battesimo romano da “headliner”, griffato Unplugged in Monti, Angel Olsen ritorna alle origini: un set in solitaria, minimalista, dove i protagonisti saranno la sua incredibile vocalità e la sua abilità chitarristica. Un cerchio che si chiude, oppure no. Non è importante, quello che conta è che a spalancarsi, anzi, a sciogliersi, saranno i nostri cuori.
Scritto da Matteo Quinzi