“Speak easy, parla piano, perché fuori c’è la polizia che vigila su una città astemia e bacchettona”. Così, tra qualche dito di bourbon e una coppa di martini cocktail, ci si faceva beffe della morale nel profondo di qualche “establishment” cittadino, duranti gli anni del proibizionismo in Usa. A distanza di decenni, la moda degli speakeasy non è mai morta, come provano le decine di drinking dens Europei sparsi tra Londra, Parigi e Berlino. E Milano, da quando, nel marzo 2013, è nato 1930, cocktail bar al quale si può accedere solo con tessera: per averla, rivolgetevi al Mag sui Navigli, la gestione è la stessa (qui l’intervista con il barman Marco Russo). Niente sbirri alle calcagna né alcolici di contrabbando: qui ci si vuole preservare dalla massa, per far diventare il 1930 il locale di chi ha una passione non comune per cocktail e distillati (non per niente è il dopolavoro di molti barman). Contribuiscono all’atmosfera – volutamente ingessata – il magnifico bancone in legno, la bottigliera, la carta da parati a bande marroni e nere, l’attire dei bartender, il pianoforte, il misterioso piano interrato. Le vecchine hanno scambiato l’anticamera con cucina del locale per un nuovo fruttivendolo, in realtà la frutta nelle casse invece è per i cocktail, fornita ai baristi tramite un passaggio nascosto nel muro. Al banco, i ragazzi pestano e miscelano grandi classici e soprattutto cocktail autoctoni: infusi, Japanese bartendering, antiche e nuove ricette (qui quella del Martesana). Qualità e tranquillità giustificano i prezzi un po’ più alti della media: scopri gli spiriti pregiati nel menu, inserito in un breve libro che ti racconta la nascita romanzata del locale in una Milano che non c’è più, e goditi la Milano che verrà.
Contenuto pubblicato su ZeroMilano - 2020-03-01