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Addio a Lucy Salani, la trans bolognese sopravvissuta ai lager nazisti

Scritto da La Redazione il 22 marzo 2023

A quasi 99 anni Lucy Salani se n’è andata. Nata a Fossano e cresciuta a Bologna, Lucy aveva vissuto l’orrore dei lager nazisti a Dachau nel 1944, deportata dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 per aver disertato sia l’esercito fascista italiano che quello nazista, poi liberata dopo sei mesi di sofferenze atroci, unica transessuale italiana a sopravvivere.

Un’esperienza che aveva raccontato così: «ci marchiarono subito con la creolina sulla testa, sotto le ascelle e in mezzo alle gambe. Molte cose sento il dovere di raccontarle, qualcuna l’ho voluta dimenticare, altre non si possono descrivere. Si poteva morire ogni giorno: per denutrizione, bruciati sui fili dell’alta tensione, col monossido, nei forni, per gli esperimenti genetici o per puro sadismo. […] Non c’era il tempo e neanche la volontà per qualsiasi forma di contatto umano: non parlavi, non ridevi, non pensavi, e quando pensavi, pensavi solo a mangiare e qualche volta a scappare, e dopo qualche mese aspettavi e volevi solo la morte. Lavoravamo per essere uccisi, e alla fine speravi che tutto venisse distrutto».

All’epoca non aveva ancora iniziato il suo percorso di transizione e l’operazione per diventare donna avvenne negli anni 80 a Londra. La sua storia è stata raccontata nel libro Il mio nome è Lucy. L’Italia del XX secolo nei ricordi di una transessuale (Donzelli Editore) di Gabriella Romano che ha poi realizzato anche il documentario Essere Lucy.

In occasione del 75esimo anniversario della liberazione del campo di Dachau tra il 2020 e il 2021 Matteo Botrugno e Daniele Coluccini l’avevano seguita nel suo viaggio realizzando dopo quell’esperienza il documentario C’è un soffio di vita soltanto, che la stessa Lucy ha continuato a portare nelle sale fino a poco tempo fa. Di lei dicevano i registi: “È stata uomo e donna, figlio e madre, prigioniero nel campo di concentramento di Dachau, amica, amante, prostituta. La sua vita è stata un saliscendi di eventi, ora tragici, ora più sereni. L’abbiamo scovata nella sua casa popolare nella periferia bolognese, l’abbiamo conosciuta e abbiamo ascoltato per ore la storia della sua vita, decidendo così di realizzare un film su di lei, sulla sua umanità, sul suo coraggio e sul suo indistruttibile attaccamento alla vita“.

Così la ricorda Porpora Marcasciano: “Simbolo incarnato dell’oppressione e della liberazione. Parte importante di una storia del Paese, dei tempi, della comunità. Se ora ci sentiamo più sole/i è perché la sua forza ci incoraggiava e ora, lo dobbiamo a lei, la sua storia ci rafforzerà. Grazie grande Lucy. Buon viaggio”.