Premessa: sì lo sappiamo che romantizzare questo periodo di astrazione sociale forzata può essere tacciato come pratica borghese. L’uomo, però, inteso come essere umano, è sia l’essere che soffre nell’accezione letterale del termine, sia quello che è in grado di domandarsi cosa sia il dolore. Il Dolce Stil Novo non è così lontano dall’ano, come canta Brunori Sas: “che poi chi l’ha detto che è peggio un culo di un cuore?”. Lo stesso scheletro logico può essere applicato al concetto di Evento; adesso che non succede più nulla sembra accadere tutto – o meglio, siamo noi a essere attenti all’accadere, come non lo siamo mai stati – potremo definire questa castrazione sociale un esercizio quasi calvinista di convivenza con la contingenza.
Questa convivenza forzata con il qui e ora trova la sua massima espressione fenomenica e quasi carnale nell’evento in diretta, nel live-streaming insomma. La diretta è diventata la cosa più erotica a livello esperienziale collettivo che possiamo fare; c’è un saggio di Marcuse che s’intitola Eros e Civiltà – userei questa reference come un porno, fermandomi al wall, che in questo caso sarebbe il titolo: questa disposizione centrifuga dell’umanità in seguito alla mancanza degli eventi intorno al vuoto dell’Evento ci sta mettendo di fronte a un nuovo senso del reale che definirei come politico e forse, in maniera ancora più puntuale, civile. Eros e Civiltà, appunto. Non c’è molto di reale in questo periodo, ma mai come ora non ci sentiamo esautorati dal nostro ruolo di donatori di senso. E in questo c’è un che di spermatico, proprio perché come in una fecondazione fuori dalla logica binaria dei sessi, dello spazio e del tempo, ci sentiamo in grado di dare un nuovo senso alle cose. Un senso sincronicamente auratico e orgasmatico.
Questa organizzazione ortogonale dell’umanità intorno al senso erotico e civile del vuoto è stata esemplificata dall’indulgenza plenaria di Papa Francesco, tenutasi in una Piazza San Pietro deserta
Questa organizzazione ortogonale dell’umanità intorno al senso erotico e civile del vuoto è stata esemplificata dall’indulgenza plenaria di Papa Francesco, tenutasi in una Piazza San Pietro deserta. “Ora, da ateo, ma soprattutto da profondo ignorante in termini religioso-liturgici, devo ammettere di aver assistito a un evento epocale sul piano storico materiale, come su quello estetico. La messa in scena è stata significativa; un luogo visto e rappresentato sempre affollato, per la prima volta è stato raccontato nel suo svuotamento. Per assurdo, anziché essere depotenzionata, l’immagine che ne è scaturita è risultata ancora più efficace del solito, perché ha perso nettamente una valenza religiosa per acquistarne una universale; costruendo un nuovo paradigma visivo dello spazio pubblico. In pochi minuti, grazie anche al cielo plumbeo di quel giorno e alla presenza della polizia sullo sfondo a vigilare il vuoto, ha vanificato definitivamente la portata e il fascino di tutti i film di genere apocalittico-distopico. È stata la maniera più vivida di raccontare, più che l’assenza, il sottovuoto (perché in totale assenza di aria, respiro e vitalità) di questo tempo di quarantena”; a parlarci così è Davide Giannella, curatore indipendente.
Tra sincronia ed Eros, però, arriva il terzo incomodo, come in ogni commedia all’italiana che si rispetti: la mancanza. “Anche se credo che quel sottovuoto, così magistralmente sottolineato e forse, perché no?, volutamente enfatizzato dalla regia in diretta, altro non sia che lo stimolo a una riflessione ulteriore sull’impossibilità di sostituire digitalmente o di riprodurre a distanza certe esperienze. La piazza deserta è una visione gestaltica che induce a volerla riempire nuovamente di persone accalcate tra loro per assistere all’espressione di un rito condiviso. In piazza San Pietro mi è sembrato di assistere all’orrore di una mostra senza visitatori o di un cinema con lo schermo nero perpetuo”.
Si è trattata quindi forse di una presenza profana, proprio perché iconoclasta. Quello che ci ha lasciato dentro ha la stessa pesantezza semantica del quadrato nero di Malevič, ma anche di un amore non corrisposto – non a caso il quadrato nero di Malevič nella celebre mostra alla Last Futurist Exhibition 0.10 del 1915 venne proprio appeso all’angolo della sala. Il posto convenzionale in cui venivano appese le icone sacre.
Dal sacro al profano: parliamo di Jo Squillo. Il suo dj set in streaming di fronte a quei manichini che sembravano usciti da un film di David Cronenberg è stato un exploit estetico fortissimo; se fossimo stati negli anni Venti lo avrei ricondotto a un’esperienza dadaista. Mi ha anche portato un po’ alla mente un film delle origini come Que Viva Mexico! di Ėjzenštejn: un ballo entropico con la fine delle cose, senza fede, con del kitsch in mezzo. Ma molto, molto eccitante. Che il décor dei film porno debba essere brutto è una necessità estetica; anzi un diritto inalienabile dell’umanità.
Il digitale è solo un palliativo necessario a confermare l’esistenza di contenuti e di un sistema culturale in totale paranoia
Non resta che chiederci che ne sarà degli eventi dopo il vuoto dell’Evento. “È stato detto molto, suppongo involontariamente, al mondo della cultura: la diretta del 27 marzo ha reso chiaro quanto in ogni ambito ci sia ancora bisogno di partecipazione ed esperienze sensibili dirette, da condividere con altri individui con i quali costruire comunità. Perché solo la presenza fisica e collettiva è sinonimo di libertà. Il digitale è solo un palliativo necessario a confermare l’esistenza di contenuti e di un sistema culturale in totale paranoia. Uno strumento appunto: non la natura, né l’oggetto del dibattito culturale. Senza dubbio e per diverso tempo molte attività e progetti dovranno registrarsi secondo nuovi parametri, così come lo studio di affluenze e flussi saranno centrali nella ripartenza, ma anche in questo caso sarà una fase transitoria prima di tornare a dare centralità alla fisicità e allo scambio, ai baci e agli abbracci”.
Belle le messe in-finite per le masturbazioni intellettuali; ma “Violentami sul metrò” resta imbattibile. Costanza Candeloro, autrice indipendente, mi ha suggerito a tal proposito una citazione che riassume benissimo quello che pensa su Jo Squillo e la sua performance adorabilmente sconcertante.
“Una delle possibilità che si apre per il femminismo oggi è dunque guardare a quella zona grigia del divenire corpi, della sessualità, delle singolarità incarnate, a partire alla consapevolezza che non solo non vi è nulla in termini di comportamento che derivi più o meno spontaneamente dal fatto di essere biologicamente femmine, educate e socializzate a essere donne, ma inoltre che questa aspettativa è fallimentare in senso storico percentuale e non tiene sufficientemente in conto delle vie di fuga che si aprono nell’immaginario, con o contro la complicità dei media. Lasciare, qui sì, che accada la catastrofe naturale, quella catastrofe che liberi il genere nelle/dalle nostre stesse illimitate capacità di trasformazione, evitando di cercare cure a quanto sembra il male del presente, e considerarne invece l’intrinseca contraddizione come dimensione ontologica del nostro presente. Ma soprattutto tenere in considerazione la crescente lacerazione tra norme e modelli identitaria e immaginario al di là della sola dimensione di genere, poiché in questa lacerazione si crea un gap, uno stato di eccedenza che è lo spazio della trasformazione, ma anche lo spazio di una conflittualità sociale e di forme di recrudescenza che si abbattono violentemente tanto sui processi geopolitici globali quanto alla vita politica, affettiva, corporea” (Monica Baroni, Libido streaming. Genere, immaginario, soggettività).