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Basilico, Fontana, Guidi: tre maestri della fotografia di paesaggio in mostra a Roma

Dal bianco e nero al colore più ardito, dalle città alle campagne, dai monumenti della romanità più cliché ad azzardi architettonici contemporanei: il paesaggio in tutte le sue sfumature

Scritto da Irene Caravita il 19 dicembre 2024

Guido Guidi, Fosso Ghiaia,1972

Sono i primi anni Settanta quando Gabriele Basilico (1944-2013), Franco Fontana (1933) e Guido Guidi (1941) si affacciano al mondo della fotografia, senza sapere che pochi decenni dopo sarebbero stati menzionati e ammirati nel “piccolo gruppo” di coloro che la fotografia italiana l’anno trasformata, ne hanno messo in discussione i metodi, i soggetti e i confini. Maturano in modo diverso, fanno scelte stilistiche talvolta opposte eppure dagli anni Ottanta hanno raccontato il paesaggio urbano e rurale, italiano e non solo. Insieme a tanti altri – tra cui Luigi Ghirri e il progetto “Viaggio in Italia” (1984) – hanno contribuito significativamente a modellare il filone della fotografia di paesaggio italiana, una nuova energia di ricerca dopo le grandi stagioni del fotoreportage e delle sperimentazioni artistiche e concettuali (con le quali, pure, si contamina).

A Palazzo Altemps la mostra Roma, visitabile fino al 23 febbraio 2025, racconta il lungo rapporto di Gabriele Basilico con la Capitale attraverso alcune serie scattate tra il 1985 e il 2011. Giovanna Calvenzi – compagna di una vita e oggi responsabile dell’Archivio del fotografo e co-curatrice della mostra accanto a Matteo Balduzzi del Museo di Fotografia Contemporanea – racconta che Gabriele Basilico aveva un approccio molto analitico alle città che fotografava: ne leggeva, studiava le mappe e piano piano costruiva un itinerario da seguire. Eppure a Roma non ha mai seguito questo metodo, l’ha fotografata tante volte guidato da incarichi professionali precisi, pertanto il corpus di immagini dedicate alle città eterna è eterogeneo e complesso, oggi illustrato da una sessantina di stampe e qualche decina di fogli di provini. Mirabilmente allestite, le fotografie di diverso formato entrano in risonanza con gli spazi e le sculture del Palazzo, unendosi in una narrazione corale della bellezza, della complessità e della stratificazione dell’architettura romana. Se il bianco e il nero e la ricerca di linee pulite e sobrie caratterizzano la prevalenza dell’opera di Basilico, in questa mostra emerge una bella serie a colori scattata lungo le rive del Tevere nel 2007, in occasione di un’edizione del Festival della fotografia capitolino. Sono immagini lontane sia dal clichè romano sia da ciò che del fotografo milanese è più noto: un fiume opaco punteggiato dai colori delle foglie autunnali, ammorbiditi dalla nebbia.

Franco Fontana è celebrato dalla prima grande mostra antologica a lui dedicata. Siamo al Museo dell’Ara Pacis dove, fino al 31 agosto 2025, è visitabile “Retrospective”, a cura di Jean-Luc Monterosso, storico curatore della fotografia e fondatore della Maison Européenne de la Photographie di Parigi. Sono in mostra oltre duecento stampe fotografiche, immagini scattate da Fontana tra gli anni Settanta e i Duemila inoltrati, alcuni filmati e una ricostruzione dello studio del fotografo di Modena. Pur essendoci qualche scatto dalla serie “People” o dalle commissioni dal mondo della moda, il percorso rende giustizia allo sguardo sul paesaggio di Fontana. Un paesaggio costruito da linee pulite, inquadrature insolite, profondità di campo ridotta e soprattutto campiture piatte di colori brillanti. Emerge nettamente dal percorso di visita una sala allestita con qualche decina di piccole stampe ektachrome vintage, datate tra il 1958 e il 1970, davvero speciali; ci raccontano la scelta pionieristica di Fontana nella predilezione del colore in tempi ancora acerbi anche per le sue possibilità tecniche. Serie che si staglia con forza dalle pareti è quella del 1990 scattata a Los Angeles, con una luce e un contrasto molto forti, così come il corridoio finale dove sono allestite polaroid personali e altri ephemera.

Arriviamo fino al MAXXI dove è allestita “Col tempo”, retrospettiva di Guido Guidi curata da Simona Antonacci, Pippo Ciorra e Antonello Frongia, visitabile fino al 20 aprile 2025. Maestosa, gigantesca, composta da trentotto serie e un incipit: la serie “Preganziol” accoglie il visitatore già condensando tutti i caratteri della poetica del fotografo di Ronta. Il percorso è ricchissimo, si snoda come un serpente tra le pareti alle quali sono allestite le stampe fotografiche e numerose teche nelle quali troviamo documenti eterogenei, fondamentali per entrare a fondo nei progetti: agende piene di appunti, video interviste su temi specifici, pubblicazioni, altre fotografie. Completa il tutto la video installazione a tre canali “Da Guido”, opera di Alessandro Toscano che racconta il processo progettuale della mostra, lo scavo in archivio, il contesto, i dialoghi, le visite. Altre chicche sono le prime fotografie scattate da Guidi nel 1956, nella sezione “Da dove”, o quella “Esercizi” in cui seguiamo i suoi primi passi nel mondo sperimentale della fotografia. Per esempio attraverso i lavori con cui si presenta all’esame del corso di fotografia di Italo Zannier al Corso Superiore di Disegno Industriale a Venezia. Scorrono poi, come in un labirinto, le ricerche degli anni Settanta e i progetti puntualmente dedicati all’architettura realizzati dagli anni Ottanta in avanti, sguardi su città come Napoli o Venezia, ma anche più vicini a singoli edifici, uno tra tutti la meravigliosa Tomba Brion a San Vito di Altivole, o i progetti di Le Corbusier.

Un percorso composito ed eterogeneo attraverso Roma e tre mostre molto diverse tra loro per obiettivi, allestimenti e curatela, straordinariamente tutte inaugurate in una manciata di giorni la settimana scorsa: coincidenza? Pare di sì, una di quelle fortunate.