Benvenuti in Zona Monti. Perimetro ideale dalla genesi dignitosa, infatti prende forma partendo da un’idea di collettività che fiorisce e alimenta un nuovo e solidissimo distretto culturale. Zona Monti è l’idea che risponde al desiderio di vedere i viali alberati e i marciapiedi che costeggiano le villette sempre più animati, ancora più affollati. Una passeggiata in questa parte della città significa riscoprire il tessuto culturale e artistico che contraddistingue l’atmosfera nostalgica e visionaria di queste strade. Su qualsiasi mappa quello che si vede è un luogo che si articola intorno a Via Vincenzo Monti, mentre quello che non si vede è un’identità che si perde tra le perle e i nodi di una collana di gallerie d’arte, archivi e fondazioni.
Guardando la mappa catastale della città, la storia sembra raccontarci che Milano sia ormai maestra nell’arte della trasformazione: crisi economica e svuotamento della città diventano buoni propositi di riqualifica – con ogni probabilità i precursori sono stati Brera, Isola, Lambrate – che poi, nel caso di Zona Monti, diventano a loro volta progetti culturali per dare nuova luce e visibilità a quel sostrato di capolavori medievali, rinascimentali, del Novecento dell’arte e dell’architettura lombarda. Raccontarvi una passeggiata tra queste strade equivale oggi a consigliarvi un viaggio nel tempo, immaginate di uscire dalla porta di casa e di rivivere ad ogni passo l’incantesimo della scoperta di un giardino segreto, che anche in pieno autunno riesce ad essere in fioritura: edera, glicine e cespugli sono le corone di portoni austeri che si fanno accoglienti. L’irrequietezza artistica che fa da colonna sonora a questo viaggio è il frutto della convivenza tra gallerie private devote al design, fondazioni con il culto dell’arte contemporanea, archivi che venerano gli artisti e le loro opere, poliedrici laboratori, e tutto questo sotto gli occhi attenti di Triennale.
In pochi anni di convivenza con questa città ho imparato che a Milano bisogna fare attenzione e guardare ai lati, in alto, in basso – non solo per non farsi investire – ma anche per notare i palazzi e il calore del legame urbano che li connota in modo nuovo e differente a seconda del quartiere. È questo il patrimonio architettonico milanese che qui si racconta in tutta la sua eleganza: a Zona Monti si può affidare il simbolo di un faro culturale che si fa forza della sua identità intrinseca e guida neofiti e vecchi amanti alla scoperta di un crocevia di linguaggi artistici, che gli occhi stanchi o frettolosi non sempre riescono a vedere o che restano celati dietro i grandi portoni massicci di questa città.
Il primo androne in cui vi invito a entrare è quello della Galleria Tonelli, la galleria d’arte del ‘900 dove, qualunque cosa decidano di fare i direttori Ciro e Luigi Tonelli, sono capaci di rendere le loro pareti e i loro spazi degli altari che consacrano grandi artisti. Questo è un luogo in cui si sperimenta un legame umano e personale tra chi crea e chi dalla creazione è attratto, ereditato forse dalla generazione del fondatore, Lodovico Tonelli, che aprì questo salotto culturale nel 1981. Inspiro a fondo e tra Atchugarry e le vertigini poetiche della Maselli, sono pronta a suggerirvi la seconda tappa: la Fondazione Stelline, che porta questo nome per il Palazzo che la accoglie, il Palazzo delle Stelline appunto, dove tra arte contemporanea e del Novecento si cela molto di più. L’origine del nome non è delle più felici, era il nomignolo delle orfanelle che vivevano questi spazi, infatti questo lunghissimo edificio un tempo era il monastero delle suore benedettine di Santa Maria della Stella, che si prendevano cura di queste “stelline”. Perdersi nella sua estensione è possibile, anche perché quello che a noi rimane è proprio l’operosità che si è sempre respirata tra quelle pareti: un Istituto francese, una sede della Commissione Europea, un hotel, la scuola d’arte drammatica Paolo Grassi e poi la Fondazione, istituzione milanese costituita nel 1986 da Regione Lombardia e Comune di Milano. La Fondazione Stelline, per darvi un’immagine, è un carillon di talenti che brilla tra la storicità della sua sede e la modernità del suo programma, da Picasso a Ghirri, tutto ha valore!
Chiuso un portone, un consiglio banale è di aprirne subito un altro. Ecco la galleria Podbielski Contemporary. Arriva da Berlino con la voglia di documentare la realtà visiva di questo e di un altro tempo, infatti entrare in questa galleria vi confonderà i cronotopi spazio-tempo: è proprio questo il fascino che porta a Milano Pierre André Podbielski, l’intellettuale raffinato che ha fondato Podbielski Contemporary nel gennaio 2011, nel cuore di Berlino, a Mitte. In quel momento la mostra di apertura Moving Worlds è stata la sua dichiarazione d’intenti. Pierre André Podbielski diventa il mecenate della fotografia a Milano quando, nel 2018, la galleria berlinese trova una sede in Italia. Qui la fotografia è intesa nel significato più classico, con la volontà di documentare questioni politiche, paesaggi sociali, lotte e trasformazioni geografiche, tutto attraverso un’arte che diventa stimolo per discutere e sopravvivere.
Allontanarsi dal poliedrico Podbielski sembra ora faticoso, ma di luoghi segreti è costellata via Saffi. Al numero 7, in un cortile incorniciato da vetrine, non sorprendetevi di ritrovarvi di fronte a una sessione di ceramica! Fondazione Officine Saffi è galleria per artisti, laboratorio per neofiti, casa editrice per vecchi amanti, a volte anche pista da ballo, basta che qualcosa venga svelato sulla ceramica contemporanea, perché è qui che riecheggia la passione di Laura Borghi e Francois Melle, che insieme dirigono la fondazione. Un aspetto che vi terrà sospesi in questo cortile sono proprio le vetrine dell’officina che vengono vissute come le pagine di quello che qui chiamano il “viaggio dell’argilla”. Non è una fiaba inventata ma il racconto del fenomenale che si genera nel contatto tra le mani di un essere umano e le forme della natura. La sperimentazione non è soltanto un rituale pratico ma la fiamma che muove la fondazione, perché la ceramica, se fate attenzione, da sempre porta con sé i segni di trasformazioni artistiche, culturali e sociali, e qui l’intenzione è di scoprirli tutti.
Il prossimo portone è solo qualche numero più avanti, al 9 sempre di via Saffi, dove un giardino segreto si sviluppa in verticale e si apre tutto intorno alle finestre della storica Casa Dugnani, il palazzo Liberty con un campo di piastrelle di girasoli al terzo piano, che ospita Pananti Atelier. Questo luogo è uno scrigno di storie e oggi è anche la sede milanese della casa d’aste Pananti, che si occupa di consulenza e valutazione di opere d’arte. Ma è anche uno spazio dedicato all’arte contemporanea guidato dal duo di curatrici d’arte che, nel 2014, ha dato vita a Twenty14, Matilde Scaramellini e Elena Vaninetti. L’adozione reciproca, tra la galleria e l’art consulting hub, porta risultati che ogni volta esplodono nella sinergia tra artisti e location. Il dinamismo che il duo incarna è sicuramente rappresentativo dell’anima di questo quartiere. Con gli occhi ancora su quel palazzo di girasoli, a pochissimi minuti di distanza, ecco Viasaterna, una galleria d’arte contemporanea fondata nel 2015 da Irene Crocco. Sono sempre stata una grande appassionata della natura dei nomi delle cose e dei luoghi e in questo caso la galleria vuole ricordare proprio Via Saterna, una strada immaginaria pensata e raccontata da Dino Buzzati nel suo “Poema a fumetti”. Anche Buzzati probabilmente sarebbe felice di sapere che nella città vecchia si è conservata la sua villa in cui si intrecciano, come nel suo poema, artisti, persone, vite e immaginazione.
Ultima tappa! Chiudo la mia passeggiata in un luogo che sembra portare alla meditazione, un luogo di studio il cui patrimonio consiste nella conservazione, acquisizione e catalogazione scientifica della documentazione relativa alle opere e alla vita degli artisti. Immaginate pubblicazioni, opere, scritti, documenti, testimonianze, notizie, ecco cos’è l’Archivio Vincenzo Agnetti, un’associazione costituita nel 2015 su iniziativa della famiglia di Vincenzo Agnetti che sembra camminare sulle orme dell’artista poliedrico che riusciva ogni volta a sintetizzare e rappresentare interiorità ed esteriorità, attraverso il significato delle sue opere.
Confesso i miei peccati: ora prendo un gelato e vado in Sempione, è così che Milano si fa spazio, senza mare e tra la nebbia, guardando con orgoglio i suoi palazzi, i suoi parchi e le sue persone.