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Bologna sperimenterà un nuovo sistema per valutare l’impatto qualitativo della cultura

Scritto da Salvatore Papa il 8 aprile 2022

Valutare l’impatto delle organizzazioni culturali su una comunità non è mai stato facile. Per leggere e giudicarne i risultati c’è, infatti, bisogno di molto tempo, molto di più della durata di una legislatura o di un mandato amministrativo. È per questo che le politiche culturali hanno troppo volte fatto riferimento ai semplici e immediati criteri quantitavi (pubblico, sbigliettamento, ecc.) per orientare obiettivi e denaro pubblico, finendo troppe volte per mercificare le proposte.

Per uscire da questo paradigma, nel 2020 la cooperativa Kilowatt ha avviato su incarico del Comune di Bologna un percorso di confronto con le organizzazioni culturali convenzionate – ossia sostenute dal Dipartimento cultura del Comune di Bologna tramite finanziamenti pluriennali – ai fini della costruzione di un nuovo strumento condiviso per la valutazione di impatto della cultura, ossia un set di indicatori non solo quantitativi, ma anche qualitativi in grado di fare emergere il potenziale della cultura stessa, il suo potere trasformativo e la sua capacità di creare valore territoriale diffuso, contaminazioni, lavoro, sostenibilità, relazioni e molto altro.

I risultati del percorso verranno presentati mercoledì 13 aprile dalle 10 alle 13 presso l’Auditorium Biagi della Biblioteca Salaborsa, e per avere qualche anticipazione, abbiamo fatto qualche domanda ad Anna Romani di Kilowatt.

Il sistema che avete realizzato quando entrerà nei prossimi bandi? Da quando?

L’impianto e gli strumenti costruiti in questo percorso verranno applicati in maniera prototipale e graduale a partire dalle prossime convenzioni. ll Comune di Bologna si è aperto al tema dell’impatto, inteso come il valore generato dal sistema culturale sull’intero ecosistema cittadino, attraverso la delibera 237/2019, un atto giuridico che prevede che le organizzazioni convenzionate si rendicontino anche attraverso criteri di impatto (e non solo di output).

Il “cambiamento culturale desiderato” di riferimento nasce ovviamente dall’intenzionalità politica dell’Amministrazione. Ottimo il cambiamento dei parametri che diventano anche qualitativi, ma il raggiungimento di “obiettivi” non rischia di portare in un mondo già in confusione come quello culturale criteri aziendalistici?

Da tempo diciamo che “il futuro è un fatto collettivo”, più persone sono convinte che un futuro sia desiderabile più è probabile che questo si realizzi. Con questo progetto abbiamo provato prima descrivere e visualizzare questo questo futuro e poi a comprendere quali azioni sono necessarie per realizzarlo. Per cui questo impianto non è strumento di giudizio della Pubblica Amministrazione sull’operato delle organizzazioni culturali convenzionate, ma uno strumento collaborativo di pianificazione e monitoraggio degli effetti delle politiche culturali che le organizzazioni contribuiscono a realizzare. Non è una rendicontazione ex post che associa i risultati agli interventi e ne trae conclusioni di successo o insuccesso, ma è la valutazione di un cambiamento intenzionale pianificato ex ante che racconta se un progetto, un’azione o una politica hanno fatto la differenza, ossia se hanno generato un impatto che non sarebbe avvenuto senza l’intervento stesso. Il processo di raccolta dati per la valutazione di impatto ha lo scopo di rinforzare – e non sostituire – il rapporto diretto tra gli operatori e il Dipartimento Cultura, alimentando la conoscenza reciproca, lo scambio e il dialogo in nome di una visione di impatto condivisa.

Nella pratica cosa dovranno fare gli operatori culturali?

Lo user journey elaborato per la prima sperimentazione prevede, per ciascuna organizzazione, un colloquio iniziale con il Dipartimento Cultura, in corrispondenza dell’avvio della convenzione, per alimentare la scheda anagrafica e compiere la scelta intenzionale di posizionamento in uno degli scenari di cambiamento previsti:

Produzione culturale: come la qualità culturale diventa desiderabile;
Geografie culturali: come la cultura contribuisce alla città policentrica;
Lavoro culturale: come la cultura genera benessere per chi ci lavora;
Sostenibilità: come la cultura contribuisce alla sostenibilità economica, sociale e ambientale della città;
Cultura come rete: come l’ecosistema culturale genera impatto attraverso l’interazione in molteplici livelli di rete.

Alla fine di ciascuno dei tre anni di convenzione gli operatori dovranno compilare almeno due questionari di valutazione di auto-osservazione (uno obbligatorio sullo scenario produzione culturale e un altro a scelta). La scelta di rendere quello sulla produzione culturale obbligatorio riporta la qualità artistica intrinseca al centro di questo strumento condiviso tra Comune e operatori. Al termine della convenzione, oltre a un questionario conclusivo più approfondito, è previsto, per ciascuna organizzazione, un colloquio con il Dipartimento, inteso come momento di riflessione in merito a tutto il percorso della convenzione e prospettive di collaborazione future.

Il criterio più volte criticato dello sbigliettamento/quantità di pubblico rimane? Cioè, questo nuovo sistema di valutazione vuole soppiantare totalmente il vecchio?

Non sparirà, ma acquisirà un aspetto multidimensionale. Il progetto parte dalla consapevolezza che dire solo “quanti spettatori hanno partecipato a uno spettacolo”, per esempio, implica un bias cognitivo che porta a pensare “più sono meglio è”, ma questo non è sempre vero, anzi. Soprattutto per iniziative sperimentali o di ricerca – oppure per quelle realtà che non hanno sbigliettamento perché magari portano performance in luoghi inusuali – parlare in termini numerici può risultare limitante se non svilente. Affiancare ai numeri un racconto qualitativo permette di far emergere le storie e dare spazio anche a quello che arte, musica e cultura suscitano nelle persone: la meraviglia, lo stupore o il turbamento, che raramente trovano spazio nelle rendicontazioni e che i numeri non possono certo spiegare.