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Dentro alla Rai

Un viaggio nella storica architettura che racchiude passato e presente della radiotelevisione italiana

Scritto da Raffaele Paria il 18 maggio 2023

Ph. Ivo Sekulovski

La decisione era nell’aria da qualche tempo, ma quando il consiglio di amministrazione RAI, a luglio 2022, ha votato sul documento “Valorizzazione sul mercato del centro di produzione di Sempione”, il conto alla rovescia per la dismissione dello storico edificio è ufficialmente partito. L’azienda ha deciso di spostare i suoi studi negli ex padiglioni della Fiera al Portello, e la sede in Sempione verrà, tra una manciata di anni, messa in vendita.

Gioiellino di architettura razionalista, scrigno austero dentro al quale si è fatta la storia della televisione italiana, il centro RAI merita un’occhiata approfondita, ora che gira ancora a mille, con i suoi dipendenti al lavoro e gli studi impegnati in un ritmo serrato di registrazioni. L’edificio non è regolarmente visitabile ma una qualche occasione per entrarci esiste: prenotarsi per tempo e prepararsi a una lunga coda durante le giornate FAI o Open House è quella più plausibile. Non salirete sulla torre, ma la visita del palazzone è sorprendentemente generosa: su e giù per i cinque piani tra arredi d’epoca e quel corrimano infinito di Gio Ponti che sale a ‘S’ accompagnando le scale e i muri piastrellati.

Il 3 gennaio 1954, dal venerabile studio TV3 si trasmise il primissimo programma della televisione di Stato.

Il Palazzo della Rai di Corso Sempione fa capolino nel lungo rettifilo che ha inizio dall’arco della Pace e che corrisponde al primo tratto della strada napoleonica verso il lago Maggiore e la Svizzera. Progettato nel 1939 dagli architetti Giò Ponti e Nino Bertolaia per la sede dell’EIAR (l’antenato della Rai), la forma razionalista dell’edificio si ispira alle idee del gruppo di architetti del Politecnico di Milano che formarono nel 1930 il MIAR, Movimento Italiano per l’Architettura Razionale. Tre i corpi del palazzo, destinati agli uffici, alle trasmissioni e ai teatri. A fianco la grande antenna bianca alta 100 metri, pensionata nel 2015 dalle trasmissioni dopo che una nuova antenna di 40 metri in cima alla Torre Allianz le ha scippato la funzione.

Ph. Ivo Sekulovski
Ph. Ivo Sekulovski

La costruzione iniziò nel 1940, ma rallentò subito con il sopraggiungere della guerra. Non scampò ai bombardamenti del 1943, che ne divorarono una parte della facciata sul Corso. Per il completamento dell’edificio bisognò attendere il 1952, quando entrò ufficialmente in funzione. Dodici anni nel mondo dei media sono secoli: se prima della guerra l’attenzione era tutta per la radio, nei primi anni ’50 gli studi furono subito riprogettati ed ampliati in funzione dell’imminente inizio del servizio televisivo. Il palazzo contava infatti inizialmente ben 25 studi, tra grandi e piccoli, di cui solo due attrezzati per la televisione. Da qui il 3 gennaio 1954 dal venerabile studio TV3 si trasmise il primissimo programma della televisione di Stato, dando il via a trasmissioni regolari sul primo canale. Negli studi di Milano ai tempi lavoravano già 400 persone, e la gran parte dei programmi nazionali si confezionava e trasmetteva da qui.
Negli anni da queste mura sono usciti gli sceneggiati adattati per il piccolo schermo negli anni Sessanta, il primo telegiornale andato in onda su scala nazionale, quel rito domenicale chiamato “La Domenica Sportiva”, per citare soltanto qualche esempio. Oggi nella sede di corso Sempione vengono prodotti una trentina di programmi fra trasmissioni televisive e radiofoniche.

Entrando nell’atrio si ha subito una sensazione che ci accompagna per tutta la visita: quella di viaggiare in un ambiente multistrato e multitemporale, sedimentato e forgiato dal passare degli anni.

La distribuzione degli auditori fu pensata per accentrare nei vari piani i diversi generi (pian terreno e primo piano: televisione; secondo e terzo piano: musica; quarto e quinto piano: prosa), così da facilitare lo smistamento degli artisti e delle maestranze. Entrando nell’atrio si ha subito una sensazione che ci accompagna per tutta la visita: quella di viaggiare in un ambiente multistrato e multitemporale, sedimentato e forgiato dal passare degli anni. Il contrasto tra i vecchi pannelli di legno e la macchina fotocopiatrice ai piani, ad esempio; l’attaccapanni anni Quaranta, le grucce con il vecchio logo Rai e il distributore in plastica dell’acqua a lato; le magnifiche porte di legno con lunghi maniglioni in ottone accanto alla porta antincendio bianco-metallico. È rimasto molto degli arredi e complementi originali che Gio Ponti disegnava e intendeva come parte di un unicum architettonico: se ne scoprono in ogni angolo, pieni di grazia e praticità.

Al piano terra, tra le pareti ricoperte di grandi marmi, si incontra il grande scalone che accompagna tutti e cinque i piani, con il celebre corrimano continuo. Gli ascensori sono occupati e saliamo a piedi: da qui cominciamo a perderci in un labirinto di corridoi dai soffitti altissimi, con porte che si aprono su una redazione, una regia murata di monitor, una sala tecnica, uno studio televisivo dove si sta montando una scenografia. Se c’è una logica nella disposizione degli spazi e delle persone, ammetto che mi sfugge ma poco male: veniamo accompagnati e guidati da mani esperte.

Ph. Ivo Sekulovski
Ph. Ivo Sekulovski

Ci immergiamo così nel viavai frettoloso di impiegati, tecnici e artisti. I movimenti, le registrazioni, le pause, tutto è cronometrato e controllato al secondo. Orologio alla mano, ci dettano i minuti per visitare questo e quello. Procediamo con passo marziale, attenti alle luci rosse, pregando di non sbagliare strada e far capolino in diretta.

Entriamo nell’Auditorio “A”, un magnifico studio che ha ospitato radiodrammi, orchestre e trasmissioni importanti in diretta. Un pianoforte a coda nero si pavoneggia nel centro dello stanzone. In un angolo, un cubo di legno formato da una porta, una finestra e delle tapparelle: è la cosiddetta “Scatola dei rumori”, con la quale si ricreavano i suoni nelle dirette degli sceneggiati radiofonici. Dietro, per simulare gli effetti acustici dei passi degli attori, una bizzarra scala divisa trasversalmente a metà tra marmo e legno, e la balaustra che consentiva effetti di voce lontana. Alle pareti, oltre agli elementi rigidi diffondenti o risonanti fissi, i cosiddetti “tutini”, sono state applicate delle grosse ante verticali ribaltabili con una superficie rigida riflettente e una assorbente, in modo da cambiare gradualmente la qualità acustica della sala.

Auditorium “A”. Ph. Ivo Sekulovski

Entriamo in altri studi, costellati di vecchi magnetofoni e microfoni a giraffa. Un corridoio ospita una collezione di vecchi, imponenti registratori a nastro. Non stupisce che proprio qui in Rai, nella seconda metà degli anni Cinquanta, nacque il Laboratorio di Fonologia: lo studio fondato da Berio e Maderna in cui vennero inventate macchine sonore e linguaggi, in cui passarono figure come Aldo Nove o John Cage (ora allestito presso il museo degli strumenti musicali al Castello).

Qui in Sempione c’è anche un altro tesoro, costituito da oltre 600 abiti di scena utilizzati nei programmi Rai: armadi che sembrano casseforti e che custodiscono tutti i costumi usati nel corso di oltre sessant’anni di televisione. Dopo una veloce incursione nello studio TV3 ad ammirare la selva di luci dal soffitto e l’allestimento di una scenografia, proseguiamo all’esterno tra camion contenenti regie mobili in manutenzione, decorazioni in uscita dal “reparto pittori”, riunioni improvvisate in pausa sigaretta, e la mole enorme dell’antenna sopra di noi.

Ph. Ivo Sekulovski

Usciamo con la sensazione di non aver visto che una frazione delle curiosità contenute nel palazzone. Non possiamo che augurarci che gli ambienti vengano tutelati quando qui si traslocherà 500 metri più a ovest.