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Dieci cose che abbiamo imparato a Electropark 2019

Un festival tra sperimentazione elettronica e clubbing ricercato ma non elitario, coraggioso e pieno di potenzialità per il futuro

Scritto da Chiara Colli il 6 novembre 2019
Aggiornato il 25 novembre 2019

Li chiamano “di esperienza”, ma a noi piace considerarle delle (intense…) “sessioni di studio”. Nei casi più riusciti, i festival a misura d’uomo non sono soltanto eventi di grandezza – e affluenza – sostenibile costruiti dentro una cornice che può essere naturale o cittadina, ma comunque sempre ben connessa con le performance e parte integrante dell’esperienza complessiva. Nel migliore dei casi in questo tipo di festival si scopre qualcosa di nuovo: perché le location sono luoghi storico/artistici/naturalistici poco noti ma pure perché la line up riserva qualche sicurezza ma soprattutto artisti non per forza stranoti, magari con set pensati ad hoc e collaborazioni speciali. Ed è questo il caso di Electropark, che nella seconda metà di ottobre a Genova ha portato ancora una volta (e forse toccando l’apice rispetto alle passate edizioni), un festival tra sperimentazione elettronica e clubbing ricco di spunti ed estremamente curato, ricercato ma non elitario, coraggioso ma sotto ogni aspetto altrettanto equilibrato, sia nella line up sia nella scelta delle location.

Galleria Aurea di Villa del Principe (foto di Ommegraphie)

Tra il 16 e il 19 ottobre ci siamo ritrovati di fronte a performance uniche, varie anteprime italiane e in location eccezionali – il Porto Antico e, per le prime due serate, nello storico quartiere di Pré (la Galleria Aurea di Villa del Principe, con la premiére a/v di Alberto Barberis, e nella Chiesa di San Giovanni di Pré con la notevole prima italiana del set congiunto di Tomoko Sauvage ed Emmanuelle Parrenin). Di seguito dieci cose che abbiamo imparato quest’anno a Electropark. E a proposito, lezione zero: si tratta già dell’ottava edizione, non un numero piccolo per un festival in una cittadina che non è allenata per tutto l’anno a eventi di questo spessore, ma che comunque ha il suo spin off/megafono esterno, in forma di “serie” più che di festival, con Electropark Exchanges a Milano.

1. Partiamo dalle cose semplici. Non sono soltanto le grandi città (tendenzialmente Milano e Torino) o i luoghi estivi di villeggiatura a essere gli unici contesti adatti per accogliere eventi come Electropark, diffusi in venue più o meno inusuali e non scontati nelle scelte artistiche. Un festival che da un lato segue una linea ambiziosa, per come è strutturato e per la direzione artistica, ma che dall’altro deve fare i conti con il territorio, i suoi (numerosi) lati positivi ma anche quelli più difficili. Genova è una città verace e per molti versi “incontaminata”, relativamente fuori dai radar dell’hype; una città dove è possibile, se non auspicabile, che gli eventi di qualità come Electropark aiutino a “educare” a un certo tipo di ascolto ed esperienza live il pubblico, e magari a portarlo qui anche da fuori, valorizzandone l’unicità di ogni angolo. Ricercato sotto ogni aspetto, Electropark è però soprattutto un festival con la scorza dura, coraggioso, battagliero (come la città che lo ospita, del resto). Un festival che resiste e che speriamo continui a crescere e a fare scuola.

Tomoko Sauvage & Emmanuelle Parrenin @ Chiesa di San Giovanni di Pré (foto di Ommegraphie)

2. L’eleganza va cercata oltre l’apparenza. La performance più bella e ipnotica del festival ce la offrono una sperimentatrice giapponese con il suo classico tavolo di lavoro – catene di metallo, recipienti pieni d’acqua e microfoni per amplificarne il suono, una vecchia tastiera, un triangolo – e una musicista francese munita di ghironda (voluminoso cordofono francese di origine medievale che si suona con la manovella, forse lo strumento più psichedelico mai immaginato dall’uomo dopo la zampogna). Loro sono Tomoko Sauvage ed Emmanuelle Parrenin, entrambi residenti a Parigi e ospiti di Electropark per una performance congiunta portata sul palco, oltre che a Genova, solo al festival belga Meakusma (che su questo fronte sta sempre qualche anno avanti). Il contesto è quello raccolto, ascetico ed essenziale della Chiesa di San Giovanni di Pré, sconsacrata e relativamente nuova per questo tipo di “rituali”. Il set unisce la ricerca acquatica della Sauvage, esperta nel creare sintetizzatori naturali con rumori, gocce d’acqua e riverberi, e la sensibilità folk, ancestrale e vagamente primitiva della Parrenin. Il risultato è un racconto naturalista di estremo fascino, dapprima un po’ scarno e puramente rumoristico, poi sempre più avvolgente, visionario e circolare, con i feedback della Sauvage a punteggiare elegantemente il moto perpetuo della ghironda e degli altri strumenti della francese. La performance più azzardata e notevole del festival.

3. A Electropark abbiamo scoperto i Magazzini del Cotone al Porto Antico, storico epicentro del commercio e della vita genovese. Un’immensa struttura nata come Magazzini Generali a fine Ottocento, restaurata nel 1992 per i cinquecento anni dalla scoperta dell’America e oggi utilizzata per fiere e manifestazioni di vario genere (dallo sport al cibo), con qualche locale e anche un cinema. Electropark è il primo evento musicale a usare uno degli spazi dei Magazzini e la scelta si è rivelata efficace, funzionale e adeguata ai contenuti proposti – nonché assai affascinante e suggestiva per chi non vive a Genova tutto l’anno.

William
Basinski + Evelina Domnitch & Dmitry Gelfand @ Magazzini del Cotone (foto di Ommegraphie)

4. Basinski non è il musicista inavvicinabile e col caratteraccio che credevamo. O almeno non solo quel genere di compositore severo che si alza e se ne va se la sala fa troppo rumore mentre suona. Il fuoripista inatteso di Electropark lo offre proprio lui, quando prima del set del sabato intrattiene la platea con svariati minuti di chiacchiere entusiaste e cordiali dal “palco” – collocato al centro della sala e del pubblico. Ringrazia chi lo ha portato per la prima volta a Genova quindici anni fa, ringrazia Electropark per esserci tornato, elogia la città dal cibo all’architettura e lascia chiunque l’abbia visto finora totalmente basito per tanta scioltezza, risate e loquacità. Poi il set ci riporta alle certezze di sempre, col solito sviaggio dilatato nell’universo interiore, stavolta coadiuvato dagli artisti Evelina Domnitch e Dmitry Gelfand per la performance audiovisiva “10000 Peacock Feathers in Foaming Acid”, in particolare costruita sulle tonalità minimali e introspettive del bianco e del nero e ispirata allo studio del comportamento delle pellicole di sapone in campo ottico, svelate grazie all’utilizzo di luce laser per farne emergere le complesse nanostrutture.

5. Che Genova fosse una città piena di fascino, tutt’altro che inflazionata, multiculturale e forse anche relativamente poco conosciuta già lo sapevamo. Quello che è bene sottolineare è il modo in cui il quartiere di Pré – fulcro di uno dei centri storici medievali più estesi d’Europa e dal 2016 anche di Electropark – sia oggi ben distante dal degrado e dall’inavvicinabilità di un tempo, e mostri oggi un volto chiassoso ma sostanzialmente ordinato, totalmente vivibile, rinnovato, pieno di movimento e di angoli da scoprire. Non solo gli edifici appartenenti al complesso di San Giovanni di Prè, ma anche il groviglio di vicoli che si snodano poco sopra, creando una cornice estremamente contaminata fra la componente urbana e quella storico/culturale.

Sculpture @ Magazzini del Cotone (foto di Ommegraphie)

6. A Electropark abbiamo scoperto (e apprezzato molto) Sculpure e RAMZI. I primi, londinesi, consistono nell’incontro del lavoro artistico del produttore di musica elettronica Dan Hayhurst e dell’artista visivo Reuben Sutherland. Il loro set è un climax di elettronica analogica e digitale ultra-psichedelica, esplosa in un finale a ritmo sostenuto ma soprattutto coadiuvata da un apparato visual pensato per amplificarne le percezioni sensoriali: grazie all’uso di un’ampia libreria di stampe originali, Sutherland combina l’imaging pre-cinema con tecniche digitali all’avanguardia che creano loop acidissimi e accompagnano la ricerca sonora di Hayhurst, tra cassette e immagini animate. RAMZI è Phoèbe Guillemot, astro nascente nel roster della prestigiosa etichetta Total Stasis e secondo set della serata di venerdì (dopo Sculpture e prima di Andrew Weatherall), con la première italiana del nuovo album “Camouflé” (prodotto da Elysia Crampton). Il set della canadese è un tripudio di ritmi e groove, suggestioni naturaliste ed esotiche dal Quinto Mondo in cui l’artista si alterna vivacemente tra la consolle, il microfono e l’uso della voce distorta e un flauto elettrico.

RAMZI @ Magazzini del Cotone (foto di Ommegraphie)

7. I Giant Swan colpiscono – inutile provare a scansarsi. Come sei i Fuck Buttons non fossero scomparsi, ma si fossero reincarnati in un’esperienza sonora ancora più furiosa e futurista. Non certo per il tocco confortevole e piacevolmente ballabile del loro suono, quanto per l’assalto frontale immediato del set, aggressivo e saturo, ma a suo modo attraente – come dimostra il pubblico, che senza troppe perdite di tempo accerchia il duo e inizia a ballare. I Giant Swan sono la versione più industriale, più noise, più hardcore, glitchiata ma comunque a tratti ballabile dei Fuck Buttons: l’associazione naturale è sia per la comune città di provenienza, Bristol, sia per il loro modo di stare sul palco (uno di fronte l’altro, con posture e strumentazione simili) e chiaramente per la matrice originaria della proposta sonora. Sul palco il sabato sera ai Magazzini del Cotone, sciolgono nell’acido ogni buona parola per il nostro ingresso in Paradiso messa poche ore prima da Basinski.

Giant Swan @ Magazzini del Cotone (foto di Ommegraphie)

8. Andrew Weatherall è uno sciamano che fa ballare anche le statue di marmo. Vabbè, questo non lo abbiamo esattamente scoperto a Electropark, ma considerata la varietà di set (anche puramente di sviaggio e ascolto) in cui è capace di cimentarsi, è interessante notare come dopo le due performance dei “giovani” Sculpture e RAMZI, più concettuali e suggestivi, alla fine sia Weatherall a infuocare la pista. A dare la dimensione del clubbing “puro” nella sala dei Magazzini del Cotone. Partenza immediata a cannone, capello lunghissimo a coprirgli la faccia e la sapiente compostezza dei maestri nello sparare mine una dietro l’altra senza concedersi la minima posa convulsa che oggi siamo soliti ravvisare nella stragrande maggioranza dei dj dietro la consolle.

9. A Electropark abbiamo imparato che «a Genova quando piove è sempre allerta gialla» (ma può dirti bene e piovere a dirotto solo una volta concluso il festival).

Andrew Weatherall @ Magazzini del Cotone (foto di Ommegraphie)

10. I numeri sono importanti, ma contano fino a un certo punto. Ottava edizione, 18 artisti da 10 diversi paesi (Inghilterra, Stati Uniti, Francia,Giappone, Germania, Italia, Russia, Olanda, Canada, Bielorussia), 11 act (di cui 7 live e 4 dj set), tra i quali 2 prime italiane, una prima mondiale e un debutto assoluto, 4 location, 2000 presenze tra pubblico italiano e internazionale, un workshop sul field recording e un talk dedicato al valore culturale e all’intelligenza collettiva realizzati a inizio ottobre. Numeri che restituiscono il profilo trasversale e ben ponderato del festival, ma che – diversamente dall’esperienza – trasmettono solo in parte l’apertura alla sperimentazione di modelli di intrattenimento e di aggregazione originali e perfettamente aderenti al territorio, assieme alle enormi potenzialità future di Electropark.