24.7 Fastlife. Photo by Andrea Jean Varraud. Styling by Aurora Dolci.

Parigi anni Cinquanta, le Arcades: Guy Debord introduce il concetto di dérive (“deriva”, in francese). La dérive, o drift, era un modo giocoso ma deliberato di esplorare la città lasciandosi guidare dall’umore o dall’energia che certi ambienti sprigionavano. To drift era, per i Situazionisti, uno strumento di approfondimento della psicogeografia degli spazi urbani – la loro risonanza emotiva, i significati nascosti e l’impatto sul comportamento umano.

Milano anni Venti del 2000, quartiere San Siro: il drifting non è più qualcosa vincolato a teorie od omaggi consapevoli alle idee di Debord, ma ne conserva lo spirito di movimento, esplorazione ed espressione culturale. Nella nostra storia, una storia fatta di amanti del brivido e delle impennate, di spiriti audaci ed escapismi, ambientata all’ombra dello stadio San Siro che i fan conoscono come “La Scala del Calcio”, la dérive è uno dei tanti gesti che compongono il vocabolario stilistico della Bikelife, un fenomeno culturale nato negli Stati Uniti, specificamente tra Baltimora, Filadelfia e New York City nei primi anni Duemila: una celebrazione del riding come performance e come forma di resistenza alle costrizioni sociali.

Ma torniamo a Milano. Potreste aver già sentito storie del genere, e d’altronde i classici sono tali perché hanno le loro ragioni. Due ragazzi, un’amicizia di una vita e una passione e delle barriere da abbattere. Salite in sella per un viaggio sulla linea tra la periferia e il mainstream. Peter Wassili e Davide Boscaro, i due fondatori di 24.7 Fastlife – una fusione senza soluzione di continuità tra sportswear, Bikelife e musica – hanno il credito di aver cementato la Bikelife in Italia come subcultura a 360°, creando un set unico di codici radicati nel desiderio di esprimere una cultura che, fino ad allora, non aveva ancora trovato la sua voce: «Le impennate non sono mai state qualcosa di nuovo, la gente le ha sempre fatte, semplicemente nessuno pensava che ci fosse qualcosa di più».

I due si conoscono da sempre, vivevano nello stesso palazzo. Peter è sempre stato un appassionato di Bikelife e caricava video a tema su YouTube già nel 2018, mentre Davide era uno studente di moda con la passione per lo streetwear e lo sportswear. Il loro successo nasce da un mix di passione e coraggio, e da un’intuizione specifica: legare lifestyle e Bikelife, rompendo con la mentalità puramente sportiva del «se ti piacciono le bici, ti piacciono solo le bici». Fu a suo tempo un approccio pioneristico, perché vennero stabilite in quel momento le regole del gioco per questo mondo, sviluppando un’economia culturale – prima micro e poi macro – dove la clandestinità diventa comunità, e la comunità diventa la forza di un marchio estremamente affermato nella sua nicchia. Ma andiamo con ordine.

Tutto inizia fuori da San Siro, in un periodo, subito dopo la prima pandemia, in cui la scena Bikelife italiana era quasi inesistente. Sin dalla sua nascita, 24.7 Fastlife ha ridefinito il rapporto tra Bikelife e la città di Milano. In questo San Siro, uno spazio automaticamente associato all’identità milanese, ha giocato un ruolo centrale nella loro storia. Per due anni, Davide e Peter hanno organizzato incontri ed eventi davanti all’iconico stadio. Immaginate: ragazzi che si riuniscono e fanno il tifo davanti a bici intente in impennate e acrobazie – un’esibizione, in tutto e per tutto, di resistenza culturale. L’area di San Siro diventa in breve tempo un rifugio dove distribuire merchandising, chiacchierare con la loro crescente comunità e persino invitare barbieri a fare tagli di capelli – atto che simboleggia sia stile che cameratismo. In questo San Siro è più di un semplice sfondo: è un’icona del loro movimento, uno spazio immediatamente riconoscibile, un emblema milanese. Per Davide, che da bambino sognava di diventare un calciatore, lo stadio rappresentava qualcosa di magico e irraggiungibile, tanto che quando Nike ha fornito loro l’opportunità per organizzare un evento al suo interno, la sensazione fu quella di un sogno che s’avvera. Ridendo, Davide ci ha detto che in quel momento la madre ha compreso che non stava perdendo tempo. Ma sto andando troppo avanti.

La Bikelife, come tutte le subculture, è un processo di immaginazione e creazione: è costruire qualcosa che ancora non esiste.

Quello che è iniziato come una collaborazione spontanea è evoluto in una comunità, un movimento, uno stile di vita e un vero e proprio brand: «Non avevamo davvero un piano. Non avremmo mai immaginato tutto questo. La gente si è riconosciuta nel nostro messaggio e nel nostro gusto… tutto è diventato molto reale, e molto in fretta. È diventato il nostro lavoro, e siamo davvero grati per questo. Sappiamo cosa significa spaccarsi la schiena per qualcosa che non ci interessa, e ci sentiamo fortunati di poterlo fare per qualcosa che amiamo davvero». La Bikelife, come tutte le subculture, è un processo di immaginazione e creazione: è costruire qualcosa che ancora non esiste. Una sintesi, un atto di alchimia. Come ogni impresa di world-building ben eseguita, si sintetizzano desideri e si trasformano in qualcosa di tangibile, in un intero universo di segni estetici, codificabili e significativi. San Siro è stato il palcoscenico dove questi simboli potevano essere generati, dove sperimentare una comunità di linguaggio, di codici, tifi e tutta un’economia visiva. In questo San Siro è stato l’esito della necessità di un luogo: «La Bikelife è uno sport che dà ai ragazzi che crescono in circostanze difficili un’opportunità. Per ogni ragazzo su una bici o su una moto ce n’è uno in meno che prende cattive decisioni per noia. È un catalizzatore, una cultura che cercava una voce per parlare nelle nostre strade. Una voce di catene, pedali, ruote e motori ruggenti».

Photo by Andrea Jean Varraud. Styling by Aurora Dolci.

24.7 Fastlife debuttò con un incontro, il RIDE, che poi è diventato una tradizione annuale. L’idea per l’evento nacque per le strade di Londra, dove Peter e Davide videro alcune persone fare impennate per strada. «Dove sono i bikers italiani?»: da questa domanda nacque il primo 24.7 rideout realizzato a partire da Stazione Centrale. Quel giorno, arrivati al punto d’incontro, non trovarono nessuno. Notarono poi alcuni messaggi su Instagram: li avvisavano che si erano radunati vicino a un hotel. Erano in 200, la polizia li aveva fatto spostare. L’energia era surreale, raccontano, l’incredulità per il successo tanta. Fu la dimostrazione che la comunità e la passione erano reali, esistevano. Quel giorno le strade di Milano videro per la prima volta centinaia di biciclette impennare all’unisono.

È superfluo dire che, dove ci sono abbastanza giovani, c’è sempre un grande fermento online. E che dove c’è fermento online c’è attenzione, e l’attenzione è una merce molto importante. Il periodo tra il 2023 e il 2024 può essere identificato come il momento in cui il fenomeno Bikelife è esploso, con la complicità di alcuni grandi brands. Uno su tutti: Il coinvolgimento di Nike ha segnato un momento cruciale per 24.7 Fastlife. La loro prima collaborazione è stata un road trip: sei rider in un camper, moto fissate a un rimorchio, e un viaggio per l’Italia di 12 giorni, diverse tappe e un micro-evento per ognuna. Questo tour, dicono i ragazzi, li ha davvero portati sotto i riflettori, e a partire da quel momento hanno continuato a organizzare tour ed eventi in tutta Europa, filmandosi in condizioni estreme. Iniziava la promozione della comunità e della loro cultura. Assieme nacque il progetto d’abbigliamento, volto a rappresentare autenticamente l’etica della Bikelife, e l’uniforme non ufficiale del movimento. È così che un fenomeno underground diventa una forza culturale e riconoscibile, celebrata in tutta Italia.

Da queste constatazioni che nasce la nuova Air Max DN8 di Nike: nel non credere in nessuno se non in sé stessi, nell’incarnare i drift con cui una cultura si reinventa.

Form Follows Function: all’evolversi del movimento e della collaborazione, Nike ha lanciato nel 2024 una versione delle sue iconiche Nike TN, scarpa tipicamente street-Milano (vedi i testi dei Club Dogo per riferimento – ma questa forse è un’altra storia), il cui design della scarpa traeva ispirazione dai gesti e dai movimenti del biking. Il suo nome? Drift, ovviamente. Un tributo perfetto alla cultura e al movimento che 24.7 Fastlife ha pionierizzato. Libertà e valori condivisi in ecosistemi comunitari, questa è la realtà odierna dei fatti culturali. Come per 24.7, la cultura si riassetta nelle regole di world-building con cui le comunità maneggiano l’universo di segni contemporanei per appropriarsene. Ed è da queste constatazioni che nasce la nuova Air Max DN8 di Nike: nel non credere in nessuno se non in sé stessi, nell’incarnare i drift con cui una cultura si reinventa.

Photo by Andrea Jean Varraud. Styling by Aurora Dolci.

Sebbene grandi comunità di bikers esistano anche negli Stati Uniti, nel Regno Unito o in Francia, sono poche quelle che hanno raggiunto una identità simile, capace di definire così attentamente l’estetica della Bikelife, tanto da farne un vessillo comune. Sarebbe dunque stato facile per Peter e Davide arricchire il mito di ciò che hanno costruito, assumendo la postura di “leader” di un movimento. Ma quando gli è stato chiesto hanno risposto molto candidamente di non essere stati i primi a importare la Bikelife in Italia, e che, per fortuna, ci sono molte altre comunità interessanti nella scena Bikelife che stanno facendo cose incredibili: «Qui non ci sono squadre per cui tifare o schieramenti da scegliere. Non c’è competizione, non ci sono premi o trofei. Siamo tutti insieme, e assieme cerchiamo di costruire un orizzonte in cui lo sport che amiamo possa legittimarsi». I ragazzi immaginano un futuro in cui la Bikelife venga riconosciuta come un vero e proprio sport, in una parabola che somiglierebbe al percorso compiuto dallo skateboarding. D’altronde, rompendo con la mentalità puramente sportiva, hanno in pratica stabilito le regole del gioco per un nuovo mondo: «Il nostro ruolo, e la nostra forza, è stato quello di essere un ponte per persone diverse che facevano la stessa cosa, per entrare in contatto con altri che condividevano la loro passione. Quello che abbiamo fatto è stato fargli vedere che qualcuno ci teneva tanto quanto loro».

Dalla periferia di San Siro alle collaborazioni internazionali, the kids are all right, e io, il loro cronista del momento, non so nemmeno andare in bici. Quanto è ironico.