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È spuntato il primo episodio di una serie ambientata nel vecchio Link

Scritto da Salvatore Papa e Lino Greco il 26 gennaio 2022

Doveva chiamarsi Link(ed) la serie tv di otto episodi scritta da Lino Greco e ispirata dagli avvenimenti e le situazioni vissute all’interno del Link Project di Bologna. Un pretesto drammaturgico per raccontare un luogo diventato punto di riferimento culturale ed emblematico di un certo modo di vivere la città negli anni ’90.

Il progetto, partito nel 2000, si fermò solo alla puntata pilota che, dopo una proiezione off per pochi intimi alla prima edizione di Netmage, è finita chiusa in un cassetto fino alla gentile concessione di Lino che ha scelto oggi Zero per riportare alla luce il suo prezioso documento.

Il primo breve episodio doveva solo introdurre alcuni dei protagonisti, gli spazi e l’antefatto della trama: in una mattina di primavera durante le pulizie viene trovato in una delle sale un ragazzo morto. L’equilibrio su cui gioca il locale per continuare le sue attività è precario, allo stesso tempo continua la lotta per un riconoscimento e quindi una presa di responsabilità da parte dell’istituzione. Si profila così l’idea di fare sparire il cadavere e cercare di andare avanti.

Per presentarvelo vi riportiamo il racconto mandatoci dallo stesso regista.


Link(ed)

Siamo al sesto anno di Link, è il nuovo millennio.
Visto dall’esterno il Link gode di ottima salute ed è diventato un luogo di riferimento internazionale in vari ambiti, dalla club culture alle arti performative.

Visto dall’interno l’effetto era tutt’altro.

La specificità e l’incredibile ricchezza di quello spazio era dovuta alla capacità di tenere insieme anime molto diverse intorno ad un progetto comune. Del resto era nato proprio sul presupposto di unire le forze e le competenze di tutti quei gruppi, crew, singoli, che avevano animato la Bologna di fine anni ’80 ed erano rimasti orfani dopo gli sgomberi di avvenuti nei primi anni ‘90.
Creare uno spazio capace di vivere sulle proprie gambe, possibilmente di dare reddito e soprattutto di professionalizzare delle figure intorno ai temi della produzione culturale intesa in un senso molto ampio. Creare uno spazio con una ricca programmazione e produzione: dalle musiche eterodosse alla techno attraversando le esperienze cine/video di ricerca, le arti performative e il teatro sperimentale e di avanguardia.

Nel 2000 l’equilibrio si era spezzato, le differenze acuite, le progettualità dei singoli laboratori e delle singole redazioni continuavano a convivere, la programmazione delle serate e degli eventi andava avanti, ma le conflittualità erano sempre meno sotterranee.

La consapevolezza che stava per scadere la convenzione con il Comune, quella che in qualche modo garantiva l’utilizzo dello spazio, non aiutava. Stavano, infatti, per partire i lavori per la costruzione di Liber Paradisus, la nuova sede del Comune di Bologna sorta sulle ceneri del Link Project.

Nel 2000, però, Bologna è anche Capitale Europea della Cultura, si realizzano molti grandi progetti e il Link contribuisce dando vita alla prima edizione del Netmage Festival.

Di fatto, questo ha contribuito a creare le condizioni per una “separazione consensuale” che avverrà definitivamente nel giro di pochi anni: da una parte chi accetterà dal Comune un nuovo spazio dove far partire un diverso progetto (il Link Associated di via Fantoni ora Link 2.0) dall’altra un gruppetto che si coagulerà intorno al progetto Netmage Festival.
Molti, ovviamente, sono tornati alle loro attività precedenti o hanno preso altre vie.

In mezzo a tutto questo si posiziona il mio tentativo di coinvolgere le varie anime in un progetto comune.

Facevo parte del nucleo fondativo del Link ed ero entrato per il mio interesse nella produzione cine/video, ma da subito è stato chiaro che c’era bisogno di contribuire alle fatiche quotidiane che richiedeva il posto per andare avanti.

Il Link cresceva, aumentavano gli spazi, un po’ legalmente e un po’ meno ci espandevamo occupando sempre più settori di quell’enorme edificio. Aumentavano anche i collaboratori e i nuovi progetti, oltre ad aumentare sempre più la frequentazione durante gli eventi.

Dalla mia posizione osservavo tutto quello che succedeva, ogni evoluzione, ogni situazione che si veniva a creare, le persone e i gruppi che attraversavano gli spazi.

È in quel momento che ho pensato che tutto stava scivolando via verso un triste epilogo senza lasciare molte tracce concrete. È vero che dal Link sono venuti fuori operatori culturali affermati in Italia e all’estero, artisti riconosciuti, una schiera di tecnici che contribuiscono ancora oggi a far funzionare i più prestigiosi teatri della città, ed è vero che il Link ha contribuito a far conoscere e a scoprire gruppi teatrali e musicisti ormai decisamente affermati, ma di fatto del Link rimane poco. Come documenti di quel periodo rimangono solo le riviste dell’house organ, l’opera “Notte Italiana” dedicata al Link di Luca Vitone e poco altro.

Nel pilot tra i personaggi che compaiono c’è anche Martin Paterson che di lì a poco è venuto a mancare: era una persona incredibile, uno dei fondatori di Mutonia e fratello di Alex Paterson dei The Orb, lui stesso dj e musicista.

C’erano poi vari teatranti come Marco Petroni, Lucio Apolito dell’Opificio Ciclope, Michele Cavinato che allora si occupava dell’amministrazionee ora lavora per l’UNCHR a Ginevra; Daniele Del Pozzo, che di li a poco avrebbe creato Gender Bender e già da allora nel direttivo del Cassero; Simone Bellotti che si intravede mentre crea una delle sue sculture: alcune delle opere che si vedono nel video si trovano oggi alle Serre nei Giardini Margherita; Stefano Lanari che chiamavamo tutti “il gatto” uno dei tanti che per un periodo della propria vita hanno vissuto dentro l’ala non aperta al pubblico del Link. In fondo nei titoli di coda c’è The Old aka Soul Boy, il grande Calvin. Erano in tanti a dare una mano, come ad esempio Bettina del Tpo, il primo vero teatro polivalente occupato di via Irnerio. Dietro a me, a farmi da spalla e spingermi un po’ c’era sempre Gerardo Lamattina.

L’area ristoro che si intravede ad un certo punto nel piano interrato è il luogo in cui è nato Modo Infoshop.

Volevo che fosse una produzione abbastanza “professionale” per dare forza e autorevolezza al progetto, trovammo anche un po’ di soldi, ovviamente grazie a Michele Cavinato senza il quale non avremmo potuto giare il film.
Per riprese e fotografia avevamo contattato Gigi Martinucci, all’epoca agli esordi. Aveva accettato chiedendo però che si potesse girare con una telecamera appena sfornata dalla Panasonic con un formato dedicato e una qualità decisamente alta anche se con poca profondità di campo.
Noleggiammo la camera, ma all’ultimo momento Gigi ci disse che non poteva più girare per questioni logistiche, sovrapposizioni o non so che altro. Mi sono ritrovato a gestire io quella enorme camera che senza una accurata e precisa fotografia rendeva tutto troppo vicino ad uno sceneggiato: era l’ultima cosa che volevo.

Andai un po’ in crisi ma bisognava andare avanti e il piano di produzione preparato era piuttosto stretto nei tempi.

Con molte difficoltà girammo nei tempi stabiliti, grazie al prezioso aiuto di Davide Rossi e Nicola Ferrari.
Una volta finito iniziarono i problemi, il formato era infatti ingestibile. Abbiamo fatto un downgrading per farlo girare sui nuovi Mac (eravamo nel 2000 e tutto era costosissimo) e provare a montare con dei tempi decenti e senza fretta eccessiva.

Tazio Mele, che aveva fatto parte negli anni ’90 del collettivo audio/video Suka, montò la prima versione del lavoro.

A quel punto era iniziato Netmage 00 e concordammo che il video sarebbe stato proiettato come piccolo evento off durante il festival. Alla proiezione oltre a chi aveva partecipato c’erano un po’ di ospiti del festival, frequentatori abituali del Link e qualche amico. Quella è stata la sua unica presentazione pubblica.
È finito abbastanza in fretta nel cassetto dei progetti che non sono riusciti come desiderato.
Una decina di anni fa mi sono ritrovato con il master in mano e, avendo del tempo libero, mi sono divertito a spappolare ancora un po’ la definizione e pulire alcuni passaggi rivedendo i tempi per cercare di dare un ritmo.
Questa versione è quello che ne è venuto fuori, credo che duri 3/5 minuti meno di quella proiettata al Link nel 2000.