HYPERLOCAL FESTIVAL è stato: un grande festival nel posto dove meno ve lo sareste aspettato, letteralmente dentro al Comune di Milano – se vi chiedete quale altra festa di quest’entità avete mai visto così la risposta è nessuna: capita soltanto quando ZERO va al Comune. Poi: il coronamento di due anni di Hyperlocal Magazine e di Club Zero in Triennale; il ché significa, in fondo, mettere assieme, accanto, a braccetto, in rete, insomma ditelo come preferite, tutti i quartieri di Milano, Roma e Bologna con cui abbiamo passeggiato dal 2020 a oggi. Letteralmente centinaia di persone, di luoghi, di locali, di ristoranti, di artiste e artisti – in pratica una città. Cosa che spannometricamente ci farebbe dire che con Hyperlocal Festival s’è fatta una città finora inesistente, una città inventata: quartieri di qui e di là messi assieme, scene emergenti, a fil d’acqua o sommerse e atolli già visibili ai più.
Litorali culturali che seguono come rabdomanti i filoni delle ricerche espressive locals, che a volte sono così ben incastonate in territori specifici da far credere che Milano non sia Milano, Roma non sia Roma, Bologna non sia Bologna: da lì l’occhio si lancia in una vertigine che non ha niente a che fare con confini e corti chiuse. È l’hyper che streccia il local, in una geografia poco consueta dove le scale dell’urbanità e del globo s’accavallano. È dove comincia l’altrove, dove le moltitudini inventano continuamente altre città e altri paesaggi.
Abbiamo ballato tutto il ballabile bagnati dal rosso di un crepuscolo verticale e con davanti un’altra città.
D’altro canto l’orda di ZERO si riconferma di anno in anno: una volta fu Macao, poi Triennale e poi ancora il Comune di Milano. Una coda smisurata, una festa in un museo e infine un bagno di folla sotto alle luci del tramonto degli Anonima Luci nella corte. Dobbiamo dire che mai siamo stati così felici di vedere un affollamento simile nel Comune. Qui abbiamo ballato tutto il ballabile bagnati dal rosso di un crepuscolo verticale e con davanti la città per intero, abbiamo assaporato i cocktail dai bartender di tante città, conosciuto le scene artistiche e musicali dei quartieri di Milano, Roma, Bologna e Monaco seguendo i fili delle loro ricerche e delle loro poetiche, mescolato le prospettive iperlocali par exellence delle Radio.
Se poi dobbiamo esprimere noi un parere su com’è andata questa prima edizione del festival, non possiamo che citare situazioni e contesti. Abbiamo per esempio capito che per tanti la Bar Marathon è stata letteralmente una scoperta. A voi, che vi abbiamo sentito chiedere i gin tonic ad Alioscia o a Rodi o a Gesto o a tutti gli altri, diamo il benvenuto a uno dei format più celebri di ZERO, che stavolta è stato un cocktail di viaggio Roma-Milano-Bologna. A chi s’è lanciato nelle code assetate di una delle tante spillatrici Peroni Nastro Azzurro: speriamo di aver brindato con tutti. A chi poi ha assaltato il Cholobuster Salchipapa (che mai si è ritrovato una simile fila davanti alla sede consueta e consolidata di Pasteur): grazie per il vostro appetito. Ma anche a chi ha capito che la panatura dei supplì era un grattugiato di pane all’olio fatto a mano, a chi ha divorato incalcolabili empanadas e a chi s’è lasciato inzuppare dai tramezzini: grazie.
Poi il rooftop: tra gli spazi più parlucchiati. Qui Rada Kozej ha cantato agli orizzonti della città, Daria Greco ha danzato con vigore ed Edoardo Ciaralli ha inscenato una performance commovente in cui a rimetterci sono stati i suoi pupazzi: sventrati dal suo piccolo alter-ego, in attesa che le patate di Cecilia Mentasti venissero contate all’asta dal pubblico e che Edoardo Caimi – TYBET – ricercasse con una rabdomanzia sonora le note celesti di un crepuscolo al sapore di ferro battuto. Qualcosa era organizzato e altro lasciato alla scelta dei performer, per cui le cose sono accadute proprio come accadono in città: quando meno ce lo si aspetta. Come Vegetal Import Festival che è entrata sgommando e stridendo nel parcheggio, e mentre la folla si sporgeva dal pozzo scavato nella corte qualcuno è sceso dall’auto e con un carattere turbolento ha pisciato per terra. Non tutti invece hanno notato il grande Giovannino con Chezplinio accendersi di fiamme durante una discesa nei vani scale, mentre passanti attoniti godevano di uno spaventoso stupore vedendo quei buoni cinque secondi di fuoco cingergli le spalle o vederlo sparire dietro ai riflessi metallici dopo una fiammata contro il cielo terso turchese.
Ma sappiamo invece che tutti hanno presidiato i dj set di Radio Raheem, Fritto FM, Radio Sugo e NEU: le antenne della musica di Milano, Roma e Bologna, ballando dal tramonto all’incedere della notte, quando l’alluminio, il cemento, il tartan della pista e pure l’erba si tingevano del rosso di Hyperlocal brillando quasi quanto la città alle spalle.
Che dire poi dell’Hyperlocal Stage? Dove il Quadraro, Lambrate, Casoretto e Zona Universitaria hanno fatto un polverone di balli serrati al limite del pogo? La trap e i set dall’asfalto di Roma con Grindalf, i battiti danzerecci della Reina del Fomento e Morris Gola. I primi che hanno aizzato il pubblico, seguiti dalle notti abbacinanti a cassa dritta del distretto notturno di Lambrate con OPAL e Unoclab, per proseguire domenica con le sonorità esotropicali e festaiole del Casoretto degli Addict Ameba e il jazz da girofianchi dei Mago del Gelato, seguiti dal caleidoscopio sonoro della Zona Universitaria di Bologna, tra gli arpeggi d’animo di JH Guraj, i set granitici di Fera e la techno gabberina irresistibile di Dj Balli. E poi i nostri guest da Monaco: i Cosmica Bandida che con la loro Picos hanno mescolato cumbia e sonorità squillanti, un pop da eighties, con tanto di maschere e glitter.
La Corte poi l’avete vista tutti: il pozzo dell’architettura mozzafiato del Comune di Milano, a metà tra una casa e ringhiera e un carcere dai sentori del panottico foucaultiano. Lì dalla terrazza del primo piano Bladeblanc scatenava i piedi della folla in una giungla di battiti e tintinnii, Venerus richiamava un gruppo di danzatori improvvisati proprio all’angolo della corte, Arssalendo cantava faccia a faccia al pubblico, Steve Pepe si muoveva con foga sui manicotti del set o ancora i Taki Qema fischiavano sui ritmi acquosi e metallici di un’elettronica da clubbing con influenze latinoamericane e Luwei scatenava nel rosso le screziature di una musica intestinale, con Reptilian Expo che sbriciolava in bit l’architettura intera e Daykoda che s’infilava nelle introspezioni di chiunque vagasse nella corte. Tutte le sensazioni di tante città.
Una nuova città che esiste nelle produzioni artistiche e culturali locali, con un particolare tropismo che mira sempre ad altrove.
Così come il designers’ market, dove tredici artigiane a artigiani hanno letteralmente portato le pratiche DIY e couture per costruire un mercato irripetibile e darvi l’idea di cosa e come si formano le reti urbane di designer, e i workshop di ZERO+ con La Trape, Uncinucci, Fhate Off, Fortune Tellier ed Ella Bottom Rouge che sono andati a ruba ancora prima che comunicassimo la location. Vedete voi.
Abbiamo, insomma, fatto una città. Una nuova città che esiste nelle produzioni artistiche e culturali locali, con un particolare tropismo che mira sempre ad altrove, che traporta le radici qua e là eppure senza mai sacrificarle, inscrivendo ogni volta un nuovo paesaggio. È la nostra, anzi: le nostre moltitudini di città. L’altrove dietro all’angolo o sottocasa, il multiverso culturale che comincia dai quartieri e finisce fin dove si può ancora immaginare.
Grazie, quindi, all’orda di ZERO. HYPERLOCAL FESTIVAL torna il 23 e il 24 settembre 2023.