Anche se non esiste ancora una risposta soddisfacente, sono (siamo) in moltissimi a osservare con crescente stupore questo fenomeno paradossale, da anni: com’è possibile che continuano a fiorire riviste e progetti editoriali sempre più belli, sempre più raffinati, con contenuti sempre più densi? Non ci avevano detto che l’editoria era morta, sepolta, devastata dal web e dai social? I giornali e le pubblicazioni mainstream perdono lettori, pubblicità, e per inseguire un’economia ormai fantasma (ma a che servono quelli del marketing, che poi sono gli ultimi a percepire ancora dei veri soldi nell’editoria, uno si chiede?) contuinuano ad abbassare il livello dell’informazione e della critica in favore di pubbliredazionali e articoli di scambio, producendo ancora più disaffezione. In questo scenario apocalittico, sembra impensabile che delle persone trovino l’energia e i mezzi per creare nuovi magazine, e invece.
Ci sono gli indipendenti, le fanzine, naturalmente, ma anche moltissime riviste “ricche”, tutte curatissime sia sul piano degli autori che della grafica, alcune patinate addirittura. Spesso rivolte a settori ristrettissimi di pubblico (esempio sublime è MC1R, la rivista dedicata ai rossi di capelli), eppure molto attrattive per l’advertising.
Saul Marcadent è da anni uno dei più appassionati esploratori di questi nuovi mondi editoriali, ed è per questo motivo che, insieme a Camilla Salvaneschi e con la supervisione di Mario Lupano, ha deciso di selezionare, contattare e assemblare nella mostra Fiamme – alla Biblioteca Santa Croce dello IUAV fino al 1 giugno – 50 tra i magazine più interessanti prodotti nell’ultimo decennio.
![ph Augusto Maurandi](http://zero.eu/content/uploads/2017/05/fiamme-ph-Augusto-Maurandi-13.jpg)
Interdisciplinari per statuto, spesso inclassificabili, queste riviste si occupano soprattutto di architettura, arte, moda, ma alcune trattano specificamente di cinema, di viaggio oppure di cibo, fino a nicchie di argomento come le questioni lgbt (Girls Like Us), le relazioni tra la cultura queer e il cinema (Little Joe), il rapporto con le automobili (Garagisme) o quello con le piante e la natura (The Plant). C’è Meatpaper, una rivista di San Francisco durata dal 2006 al 2013. Ne sono usciti 20 numeri. Meatpaper è stata un’esperienza significativa soprattutto per il tema affrontato; è una indagine sull’uomo e sulla cultura a partire da un argomento specifico e ampiamente dibattuto: la carne.
Uno degli elementi che più le differenzia dal sistema mainstream è la periodicità. Molte sono semestrali, alcune non hanno neppure tempi certi, in ogni caso hanno quel lusso preziosissimo nel mondo contemporaneo, orientato dall’organizzazione di eventi che consumano la vita: il tempo. Tempo di curare bene tutto, l’editing, l’impaginazione, le interviste, la stesura dei testi, la creazione di un oggetto pieno di senso.
![ph Augusto Maurandi](http://zero.eu/content/uploads/2017/05/fiamme-ph-Augusto-Maurandi-11.jpg)
Le redazioni sono quasi inesistenti, questi giornali escono quasi sempre dalle mani di pochissimi – il che è triste se la pensiamo dalla parte di chi agogna lavorare a progetti di questo tipo, ma rappresenta un enorme risparmio di energie normalmente buttate in riunioni e coordinamento. Concepite e gestite da gruppi di due-quattro persone, generalmente sotto i quaranta anni, hanno una tiratura limitata ma una distribuzione precisa, in librerie, bookshop, edicole selezionate e luoghi di ricerca. Fiamme nasce essenzialmente per introdurre questi titoli nella biblioteca di una istituzione universitaria pubblica, un ateneo del progetto.
«Parte del mio lavoro è dedicato a una generazione di riviste nate nella prima metà degli anni novanta, mi riferisco a Visionaire, Purple, Serf Service, i casi studio sui quali mi sono soffermato maggiormente – dice Saul Marcadent – Ad anticiparla sono esperienze come i-D o The Face, nate nel decennio precedente. Fin da subito queste riviste si configurano come spazi fertili, contaminati, che accolgono il lavoro, le pratiche e le poetiche di una generazione di fotografi, stylist, editor. Mi interessano gli anni novanta proprio perché il momento in cui il mainstream guarda sempre con maggiore attenzione alla scena underground e i confini sfumano».
A parte i fortunati frequentatori della Biblioteca Santa Croce, che hanno la possibilità volendo di dedicare ogni giorno qualche ora alla consultazione di San Rocco o Turps Banana, Genda e Accattone, ovviamente Fiamme è una mostra che produce frustrazione, destinata a produrre un desiderio di lettura che non può che rimanere inappagato. Si esce contagiati da una nuova forma di addiction che costringe a passare ore in piedi con il collo dolorosamente piegato in ogni bookshop di museo, e poi a spendere milioni ordinando assurdi numeri su internet.