Who_, Ivàn Argote, Bruges Triennial 2024 pic. by Filip Dujardin

La parola fiammingo tende a portare nel passato, evoca atmosfere medievali. Ripenso al ritratto dei coniugi Arnolfini, a nature morte perfette e decadenti, alle scene di genere dei Brueghel o alle folli raffigurazioni minuziosamente dipinte da Hieronymus Bosch. Eppure, basteranno un paio di giorni nelle Fiandre per accorgersi come questo fascinoso passato sia oggi risemantizzato da una sostenuta e attenta produzione artistica contemporanea d’avanguardia, che nasce da un dialogo aperto e proficuo con gli spazi dove viene accolta, quindi con l’architettura e con la storia. Architettura che negli ultimi decenni si è aggiornata efficacemente accostando, ai raffinati palazzi antichi, edifici dai volumi moderni e minimali, così come gli elementi che popolano lo spazio pubblico quali i ponti Conzettbrug o Bargebrug, la fontana De Bron o l’opera di Giuseppe Penone, anch’essa sull’acqua, che troneggia nella piazza di ingresso per il museo dell’Ospedale di San Giovanni. Situata proprio nel cuore delle Fiandre, regione nel nord del Belgio, Bruges appare comunque come una cittadina antica splendidamente conservata, patrimonio UNESCO, e si raggiunge facilmente in treno da Bruxelles, anche direttamente dal suo aeroporto. Mi affascina fin dal nome, così morbido, lo immagino pronunciato da una diva hollywoodiana anni Cinquanta, in una commedia dei telefoni bianchi, con gli occhi socchiusi e tono sognante.

Questa è un’estate speciale per Bruges, poiché fino al 1 settembre è animata dalla Triennale omonima, anche sintetizzata in TRIBRU24, che invita artisti e architetti da tutto il mondo a intervenire nella città con sculture, installazioni artistiche praticabili o vere e proprie strutture architettoniche temporanee, con l’obiettivo di offrire alla cittadinanza e ai visitatori nuovi sguardi e nuove idee su come vivere e muoversi nel tessuto urbano. Si tratta di una triennale che ha radici profonde, la prima edizione risale infatti al 1968, quando si teneva nella Bruges City Hall ed era dedicata alle arti plastiche. Nel 2015 si è aperta all’architettura e soprattutto agli spazi esterni, operando una vincente piccola rivoluzione. Il titolo di questa edizione è proprio Space of Possibility, ovvero Spazi di possibilità, che apre lo sguardo verso il futuro e invita a immaginare nuovi modi di vivere.

L’arte e l’architettura contemporanee, possono creare nuove cornici e strutture, capaci di accogliere i nostri cambiamenti verso il futuro?

Shendy Gardin, co-curatrice insieme a Sevie Tsampalla di questa edizione, mi accompagna graziosamente alla scoperta delle dodici installazioni, tra sculture e ambienti praticabili. Prima di iniziare mi pone la domanda dalla quale anche loro si sono mosse: l’arte e l’architettura contemporanee, possono creare nuove cornici e strutture, capaci di accogliere i nostri cambiamenti verso il futuro? Insieme siamo andate a cercare la risposta. Il percorso è compatto, grazie a una conformazione cittadina in cui ci si muove benissimo a piedi o al massimo in bicicletta (che si noleggiano facilmente, per esempio nella piazza t’ Zand, sotto al Concertgebouw). Chiedo a Gardin se non sia mai capitato che alcune installazioni, progettate per essere temporanee, venissero trasformate in opere permanenti. Lei ammette di sì, ma è molto ferma sull’idea di smantellarle, anche perché tutte sono state concepite per essere completamente sostenibili. Mi spiega che l’obiettivo è che le opere creino una nuova consapevolezza nella comunità, rispetto ai luoghi in cui sono collocate e al loro attraversamento. Dunque il desiderio semplice di farle rimanere rischia di atrofizzare subito un anelito al cambiamento, mentre deve essere coltivata la volontà di trasfigurare le abitudini radicate, sia quelle più concrete, come il proprio uso della città, sia quelle più astratte, come le categorie del pensiero.

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Dal nostro giro tra le fitte e strette vie di Bruges, improvvisamente aperte su canali e parchi, ho fatto una mia selezione, così da lasciarvi la possibilità di scoprire tutte le altre. Proprio in mezzo al verde è collocata la prima opera a cui mi avvicino, realizzata da Mariana Castillo Deball e intitolata Firesongs for the bees, a tree of clay. Si tratta di una piccola palafitta, composta da quattro colonne di forme in terracotta molto diverse tra loro che sostengono un piano dove trovano posto tre arnie piene di api. Castillo Deball ha condotto uno studio sull’allevamento delle api, e ha scoperto che la tradizionale arnia cubica si è sviluppata da una moltitudine di forme e dimensioni diverse per ogni angolo del globo. In un altro parco, che fa parte di un ospedale psichiatrico ma è aperto e frequentabile, proprio in un’ottica di cura che vuole evitare la ghettizzazione, trova posto Full Swing di Mona Hatoum. L’invito è a scendere alcuni gradini e percorrere un corridoio di sassi trattenuti da reti metalliche, dove salire e dondolarsi su un’altalena, potenzialmente spiccando il volo verso il cielo, come sfuggendo dal buco nel suolo dove ci si è appena infilati. Minnewater, il cosiddetto lago dell’amore, ospita invece Grains of Paradise di Sumayya Vally, composta da una serie di piroghe nere riempite di terra e coltivate con diverse spezie, tra cui Aframomum melegueta, importata massicciamente dal Golfo della Guinea. Vally ci ricorda il doppio lato della medaglia dei fiorenti commerci fiamminghi del XIV e XV secolo, invitandoci a pensare oltre i confini nazionali.

Vediamo anche cosa propongono invece gli architetti. Shingo Masuda + Katsuhisa Otsubo Architects, duo di architetti giapponesi, sono stati colpiti dalla densità delle strade di Bruges brulicanti di persone. Così hanno proposto alla città empty drop, collocata in un piccolo parco di passaggio. Tre cerchi in mattoni che invitano ad accogliere il vuoto, il silenzio, uno spazio di pausa e meditazione per chiedersi cosa è veramente necessario. Un altro studio di architettura, SO-IL, fondato nel 2008 da Florian Idenburg e Jing Liu, ha collaborato con la dott.ssa Mariana Popescu dell’Università di Delft e con Summum Engineering per creare Common Thread. Si tratta di un tunnel ricoperto di un tessuto semitrasparente che è il vero protagonista: infatti è stato creato con elementi stampati in 3D, a partire da plastica riciclata, pur richiamando l’antica tradizione cittadina dei merletti. Percorribile, conduce il visitatore in un meraviglioso giardino di proprietà di un convento di Cappuccini fino al 2020, riaperto al pubblico proprio in questa occasione. Arriva a Bruges anche una coppia di italiani, Alessandra Covini e Giovanni Bellotti di Studio Ossidiana, che oggi lavorano ad Amsterdam. Hanno costruito Earthsea Pavilion, una torre poligonale, un silos cavo all’interno che mostra diversi strati di materiali organici, da terra a sabbia, conchiglie e sassi, che raccontano della ricca storia di Bruges e del suo rapporto con il mare. Arricchito di semi e piante, il padiglione cambierà aspetto nel tempo, ricoprendosi sempre di più di nuove vite vegetali. Per una fuga al mare, Zeebrugge, letteralmente Marina di Bruges se fossimo in Toscana, è raggiungibile in circa mezz’oretta di macchina o con i mezzi pubblici. Lì, sul limite di una spiaggia vastissima e chiara, è collocata la dodicesima opera, Star of the Sea dell’artista inglese Ivan Morison. Si tratta di un piccolo tunnel in cemento, a forma circolare con delle aperture che la fanno assomigliare ad una stella a tante punte, diversa giorno dopo giorno per il livello della sabbia e delle maree. Si tratta dell’anello di congiunzione con la Triennale Beaufort, che riunisce una ventina di installazioni, diffuse sulla costa fiamminga tra Knokke-Heist e De Panne. Sono opere che, similmente a quelle viste a Bruges, fioriscono nell’intersezione tra scultura e architettura e invitano a scoprire il litorale con le sue spiagge meravigliose.

In caso di una pioggia improvvisa, potete rifugiarvi invece in uno dei Musea Brugge, istituzione che riunisce i più importanti musei cittadini. Partner di TRIBRU24, si è mobilitata per l’occasione con la mostra diffusa Rebel Garden, indagine dei nostri rapporti con la natura, fuori da ogni confine cronologico e geografico, che muove dalla consapevolezza della crisi globale permanente in cui ci troviamo. Il giardino di Rebel Garden è uno spazio, urbano o rurale, dove l’uomo convive con altre forme di vita. Consiglio di visitarla partendo dal museo dell’Ospedale di San Giovanni, recentemente riaperto e rinnovato da un nuovo allestimento, o dal museo Groeninge che ne accolgono due capitoli piuttosto massicci, mentre presso il Gruuthuse si trovano alcune installazioni più monumentali, riunite sotto il titolo The vanished gardens. All’Ospedale di San Giovanni è ben condotto un dialogo tra la parte più tradizionale del museo e la mostra temporanea, che si sviluppa al piano superiore e nell’attico, dove è allestita una sezione dedicata all’attivismo nell’ambito della sostenibilità e dell’ambiente. A piano terra è imperdibile anche la sala dedicata ad Hans Memling, così come nella collezione permanente del Groeninge sono collezionati alcuni capolavori dell’arte fiamminga tra cui Il giudizio finale di Bosch, accanto ai funghi fallici di Sofie Muller. Altre opere che emergono dalla selezione sono l’erbario di Dorota Buczkowska affiancato all’arazzo di Otobong Nkanga, e non sorprende nemmeno un progetto del nostro compatriota Giuseppe Penone, che dagli anni Sessanta lavora a stretto contatto con gli alberi e altri elementi naturali.

Arrivati a fine giornata, che fare? Una bella cena, un paio di birre e sicuramente una passeggiata notturna. Infatti la città è splendidamente illuminata e i riflessi, i giochi luminosi che si creano sui canali e i laghi contribuiscono a creare un’atmosfera che raggiunge vette altissime del romanticismo meno scontato. Per una cena carina mi sento di consigliare il Bistrot Den Amand, mentre il più informale Nomad è perfetto per pranzo. Eiermarkt, l’antico mercato delle uova, è la piazza dove dirigersi per bere qualcosa e passare una serata, così come De Republiek Stadmakers & Grand Café o la birreria Le Trappist.

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