Milano è la città dei mercati. Su questo non c’è dubbio. Il cambio di etichetta post expo l’ha vista imporsi, oltre che come città dei mercati azionari, come città dei mercati: del pesce, della carne, del pane, delle pezze e dei ravioli cinesi. I popolari mercati rionali da sempre sono tribune di contrattazione e snodi, tubi di scolo che si installano una volta alla settimana nei crocevia dei quartieri della città.
Per chi arriva per la prima volta a Milano in Stazione Centrale, con un Frecciarossa o con il Malpensa Shuttle, è possibile che la prima impressione della città sia quella del Mercato Centrale. Inaugurato solo i primi di settembre del 2021, ha avuto da subito folte frequentazioni, tra milanesi e soprattutto turisti – data la posizione: intervallo di arrivi e partenze tra Milano e l’Europa e il resto del mondo. Qui scegli lo stand, ordini, ritiri il vassoio e ti siedi dove vuoi. Il set fa molto East Village: condutture per l’aria condizionata e cavi elettrici a vista, pareti scrostate o non stuccate. Una strizzatina d’occhio al design urban e dirty, che ricorda vagamente il modello dei centri sociali occupati anni Novanta, ma in un corridoio lungo 250 metri e un po’ stretto, al lato Nord Ovest della facciata, dove su due piani si affacciano una trentina di banchi. Un dipanarsi di chioschi e stand, bar e pasticcerie. Gelateria, pescheria, macelleria, birreria, tartufo, lampredotto, Longoni e Bastianich, il caseificio, il genovese, il ristorante. Un gran vociare, come vuole la tradizione del mercato, soprattutto alla macelleria, dove si offrono svariati tagli di carne arrosto ai passanti che osservano ammutoliti e un po’ perplessi. Non tutti capiscono subito come funziona, ma in realtà è semplice: funziona come un qualsiasi fast food, solo che il cibo è più chic.
Gelateria, pescheria, macelleria, birreria, tartufo, lampredotto, Longoni e Bastianich, il caseificio, il genovese.
Del mercato conserva solo il nome, non ci si va tanto per comprare o contrattare quanto per mangiare o bere. È più una fiera permanente del food Made in Italy nella metropoli italiana che si affaccia sull’Europa, e che poco si cura di perseverare nell’autarchia che la vuole senza Starbucks e KFC, convogliando le frotte di nuovi arrivi del transitorio viavai della stazione negli alveoli succulenti e un po’ expansive del cibo firmato. Così il ritardo della navetta da Malpensa può trasformarsi in una vera e propria esperienza di gusto. Quale miglior modo di recuperare dei magazzini sfitti in stazione se non quello di trasformarli in una vetrina tutta da gustare, in una vetrina della cultura italica?
Perché il Mercato è ovviamente anche aperto a convegni, meeting, eventi rivolti ai più piccoli, agli appassionati di fumetto o di musica. Insomma, la cultura fa parte del brand e d’altronde anche uno spritz Hugo è cultura – e pensare che prima di lavorare al Mercato Centrale ne ignoravo del tutto l’esistenza! L’ambition è chiara: spingere il mercato del food verso un orizzonte culturale, a ribadire il concetto che il cibo è cultura, lavoro, capitale, immagine, vetrina. È il modello Lavazza Basement Café.
Il mercato oltre il mercato: ostriche su piatti di carta e metodo classico take away.
Il risultato? Ostriche su piatti di carta e Metodo Classico Take Away. Tutto dentro dà l’aria di essere informale, dalla mise del personale al design degli interni. Io che ci ho lavorato per qualche mese, non mi aspettavo si potessero vendere ogni giorno tutti quei piatti di carta di tagliolini al tartufo a quaranta euro. Grossa operazione di rivalutazione. Il mercato oltre il mercato. Un luogo che fino a neanche un anno fa era un ricettacolo di guano di tordi, si ritrova ora gli stormi degli stessi tordi ad animare i cieli al tramonto in via Sammartini, destando l’otturatore ammirato del turista accolto a Milano da un evento talmente poetico che si arrovella sugli hashtag per il prossimo post.
Poesia gastronomica del privato nell’andirivieni ferroviario, dove tutto, ma proprio tutto accade. Potrebbe essere un In Exitu 2022: un eroinomane habitué della stazione, si trova a chiedere l’elemosina a una famiglia di canadesi bianchi con set di valigie Louis Vuitton che aspettano il loro piatto di entrée ai tartufi prima di andare all’aeroporto. Viene sbattuto fuori dalla Security, che tiene costantemente sottocchio gli spazi del Mercato. Al piano di sopra Joe Bastianich propone il suo slow & smoked barbecue con una performance canora in stile country americano mentre Paola Barale (giuro che l’ho vista) indugia nel cocktail bar di Flavio Angiolillo. Sette giorni a settimana. Dalle sette a mezzanotte.
È sabato mattina. In via Benedetto Marcello, sulla linea di confine che divide il Quartiere Centrale dalla Zona Buenos Aires, allestito nella sua veste un po’ silenziosa, c’è il mercato rionale classificato tra i primi di Milano per l’offerta moda di seconda mano. Qui i banchi su cui sono riversi i cumuli di stracci tipo Pistoletto sono come l’aia quando butti il mais. Sciure VS gay-moda si contendono i capi in battaglie all’ultimo top leopardato. E c’è sempre quella che redarguisce la ghei con un bel: “Va’ che quello non è mica da maschi eh!”. Dalle sciure col pollo allo spiedo si passa in attimo alle madri di famiglia con la prole al capezzale che, come formiche, spostano passeggini ricolmi di buste ostinatamente di plastica, piene di scorte per la settimana. In mezzo alla folla potrebbe far capolino @Trapezia col trucco del giorno prima che compra il pollo insieme alle sciure. Di fatto questa via è come un’appendice di Porta Venezia che si estende dritta fino al quartiere Centrale. Si arriva alla fine e con un’inversione a U l’esperienza raddoppia ed è quasi uno zoo tra cocorite e pellicce.
Ma si sta anche ai lati del marciapiede a esporre mercanzia su teli bianchi pronti a diventare sacchi, come white cube effimeri per il contrabbando di oggetti che per un Baudrillard potrebbero essere già opere d’arte. Si sta pure sulla soglia del lato Nord Ovest della Stazione Centrale ad aspettare un permesso di soggiorno con la puzza(!) di tartufo sotto il naso. Oppure si sta seduti su uno sgabello del Mercato Centrale a morire di noia e depressione perché a quindici anni si fa parte di una famiglia di globe trotter privilegiati, si è già visto tutto il mondo prima del proprio quartiere e si vorrebbe morire e rinascere in una comunità rurale in un’isola oceanica. O si può anche essere un’anziana signora sola e pensionata che si inimica dei creativi queer per un capo firmato a un prezzo stracciato. In ogni caso, i mercati, tutti ed entrambi quelli di Centrale, sono espressioni di un quartiere che è da sempre, e sempre di più, un crocicchio di contraddizioni.