Gli studi d’artista sono diventati nel giro di pochi mesi i grandi protagonisti dell’arte a Roma: una conquista meritata che ha spostato il focus di un’intero settore dai luoghi di esposizione ai luoghi di produzione, spesso decentrati rispetto alle gallerie e ai musei che occupano i quartieri centrali delle città. Tra questi, Studio 54 non solo rappresenta una delle realtà più consolidate e durature, con oltre dieci anni di attività a Torpignattara, ma è anche una di quelle che ha da sempre aperto le sue porte al pubblico e al quartiere, alle volte riversandosi letteralmente nelle sue strade.
L’iniziativa con cui Studio 54 ha inaugurato il suo 2022 si inserisce perfettamente in questo solco: “Il fine della fine”, 12 appuntamenti a cadenza mensile, con 12 artisti e per 12 fine settimana. Un progetto corale volto a trasformare quello che solitamente è un luogo di lavoro in un’esperienza di apertura alla comunità e di celebrazione dell’arte. “Ciascuno dei sei membri di Studio 54 ha invitato due artisti a scegliere un modo per giocare con gli spazi dell’atelier e reinventarli attraverso il proprio operare. Dodici artisti in tutto provenienti dagli ambiti più eterogenei – arte visiva, poesia, musica, moda, illustrazione, fotografia – avranno due giorni per trasformare Studio 54 in una galleria d’arte, in un auditorium, in una libreria, in un dj set, ma soprattutto in un luogo simbolico di condivisione nel quale possa rinnovarsi il miracolo dell’arte”. ZERO seguirà per tutto l’anno questo ciclo di appuntamenti con 12 gallery che racconteranno visivamente l’intero percorso. Protagonista dell’evento di novembre è stato Daniele Spanò.
DANIELE SPANÒ – “TUTTOTONDO”
Una performance che gioca sul paradosso degli scarti dimensionali tra il reale e la sua rappresentazione. Soggetto di questo esperimento è, all’inizio, l’artista stesso, ripreso simultaneamente da tre telecamere puntate ciascuna su parti del suo volto, in modo anche volutamente antiestetico. Le telecamere sono collegate a tre output differenti per qualità e formato, conducendo a diversi esiti di questo autoritratto, come in una storia a bivi. Il pubblico presente è poi invitato a prendere il posto dell’artista attuando uno scambio di ruoli e diventando protagonista della performance.
LUISA MONTALTO – “PREFERISCO SBAGLIARE”
Per Il Fine della Fine Luisa Montalto ha presentato una serie di lavori pittorici basati sulla reiterazione di un oggetto quotidiano della cultura orientale, un contenitore per il ramen, che diventa simbolo: un veicolo di suggestioni. Durante un periodo vissuto a Singapore, l’artista si è interessata in maniera spontanea alla morfologia di questo utensile tradizionale, scoprendo l’attenzione formale con cui viene prodotto. Ecco che una comune ciotola si trasforma in uno strumento linguistico, una piccola sintesi comparativa della società. Durante la mostra, il pubblico è stato coinvolto a preparare un piatto servendosi fisicamente dell’oggetto protagonista delle opere.
MONICA PENNAZZI
“Dopo aver lavorato come designer nel mondo della moda, si è dedicata alla propria ricerca nelle arti visive, indagando i temi della fisica e della matematica attraverso le sue installazioni. Allo Studio54 Monica Pennazzi espone anche una serie di fotografie e cianotipie concepite durante il periodo del lockdown. Tessuti che tessuti si intrecciano formando maglie ora più fitte ora più larghe, come particelle infinitesimali si dispongono in una griglia immaginaria dello spazio fisico”.
PIOTR HANZELEWICZ – AHI AHI AHI
“Un elaboratore elettronico posticcio, basato sull’iconografia anni Sessanta-Settanta dei film e fumetti di fantascienza. Si tratta di una grande scatola di cartone con falsi comandi e uno schermo stampato, all’interno del quale ci sarà l’artista Piotr Hanzelewicz, una persona che finge di essere un’intelligenza artificiale (A.I. con in mezzo, nel titolo, l’H iniziale del cognome dell’artista). Al pubblico verrà chiesto di interagire con l’elaboratore attraverso uno scambio, inserendo delle monete per vedersi restituiti dei servizi o degli oggetti. L’A.I., in cambio dell’offerta, leggerà l’intera poesia “Il Cinque Maggio” di Manzoni a velocità sostenuta, oppure rilascerà degli scontrini con formule matematiche o ancora canterà, sbagliandole, delle canzoni.
JONIDA PRIFTI – “VOLA”
“Sarebbe interessante sapere se il poeta si interroghi mai sulla destinazione d’uso di ciò che scrive e, soprattutto, se il suo bisogno di esprimersi attraverso la parola sia un amore corrisposto dal destinatario, cioè dal lettore o da un pubblico. Al momento la poesia ha l’opportunità di divenire esperienza, forse anche per esasperazione, di entrare nella vita negli altri non più come il rapporto platonico tra adolescenti, ma finalmente come un amore adulto”. Jonida Prifti, poetessa albanese ma romana da tempo, lavora in modo multiforme su vari piani del testo poetico (sonoro, visivo, performativo) e allo Studio54, per l’appuntamento di luglio de Il fine della fine, su invito di Tommaso Medugno, ha presentato “VOLA”, un’azione in cui il pubblico è stato invitato a scrivere versi a seguire la prima parola apposta dall’autrice (“vola” appunto), creando un testo collettivo e indagando sulla relazione tra parola e gesto, tra poeta e lettore.
MASSIMILIANO AMATI – “LA VERITÀ VA IN MASCHERA”
“Il tempo condiziona le forme nel loro aspetto esteriore, ma incide anche sull’interiorità delle cose, definisce o muta la loro identità. Massimiliano Amati attribuisce al tempo il potere di svolgere la realtà non solo sotto l’aspetto materiale, ma anche, e soprattutto, sotto quello relazionale”. Da qui l’idea di centrare il proprio intervento nello Studio54 per “Il Fine della Fine” sul concetto di maschera, realizzandone e creandone diverse con l’obiettivo di catalizzare una connessione con il pubblico e tra il pubblico. Nuove identità, per nuovi incontri e percorsi, effimeri o forse no.
ANDREA AQUILANTI
“Descrivere un volto o un profilo come fossero coordinate di tempo e spazio. Il risultato dell’incontro di queste variabili è il ritratto, che non è solo una raffigurazione visiva ma una modulazione ritmica, persino musicale, un dispositivo di dialogo”. Per Il Fine della Fine Andrea Aquilanti ha ideato un intervento nel quale ha coinvolto direttamente il pubblico, realizzando dei ritratti dei visitatori attraverso una tecnica multimediale molto interessante e particolare, combinato fotografia, proiezioni su muro e pittura.
ELEONORA AMIANTO – “ABRAMACABRA”
La mutazione di una donna in elemento naturale rimanda subito alla storia di Apollo e Dafne e alla volontà di sottrarsi al proprio incombente destino, anche a costo di compiere un gesto estremo e passare dal regno animale a quello vegetale. La chiave delle foto della serie “Abramacabra” è invece l’accettazione della propria finitezza, il ricongiungimento con una natura che avvolge i copri delle tredici figure ritratte senza dare spazio a pathos o disperazione: “Tredici fotografie di donne catturate in una simbiosi con le piante, quasi una morte apparente tra i fiori che si impossessano dei loro corpi. Un incantesimo per abbandonarsi al flusso degli eventi, a una natura annichilente bellissima ma indifferente”.
BEAUROMA BOOKS
Beauroma Books è una piccola casa editrice romana nata dalla passione per i libri della giovanissima designer francese Lola Giffard-Bouvier, laureata in tipografia a Bruxelles, al momento di base a Roma dove lavora come grafica. Già attiva nel mondo del fumetto, dopo aver sviluppato un interesse anche per l’editoria Lola ha messo su una “stanza-editrice”, un’autoproduzione domestica per dare voce alle proposte creative che le sembrano più interessanti nei campi del fumetto, arti visive, illustrazione, eventi. È lei stessa ad occuparsi della veste grafica dei volumi, della scelta della carta e della stampa. Nessun piano editoriale, per ora, ma percorsi di affinità e curiosità reciproca che nascono dagli incontri tra Lola e autori o artisti.
ALESSANDRO PASSARO – “VIA LA PITTURA 54
Spiagge, campi, strade, giardini di case private: al centro della pittura di Alessandro Passaro c’è il paesaggio – e come non potrebbe esserlo per chi ha negli occhi il mare e le distese costiere del Mediterraneo? Nei suoi dipinti i però i paesaggi non sono vuoti, anzi, vivono nell’interazione con i soggetti che lo abitano e lo vivono, in una coabitazione fantasmatica tra il surreale e il ricordo. “Il paesaggio è qualcosa che esiste a prescindere da noi ma che allo stesso tempo ci spinge ad avere un ruolo di interazione con esso. Per questo convivono nel paesaggio un elemento collettivo e uno individuale. Abbiamo la facoltà di intervenire sullo spazio che viviamo per renderlo funzionale alle nostre esigenze, come un laboratorio all’interno del quale siamo liberi di sperimentare senza però distruggere l’ambiente in cui operiamo”.
CHRISTIAN CIAMPOLI – “MODUS TOLLENS”
I disegni, gli oggetti e gli appunti portati in mostra dall’artista ruotano tutti attorno al sillogismo di origine medievale denominato “modus tollendo tollens”, un caso ipotetico dove la seconda premessa è una proposizione il cui valore di verità non è ricavato deduttivamente, ma accolto sulla base di un’evidenza empirica. Con un meccanismo simile, le opere di Christian Ciampoli giocano sull’incompiutezza e sulla non finitezza, dando a chi le vede la possibilità di partecipare al completamento del loro senso compiuto.